Corriere della Sera - La Lettura
Daf, la rabbia profetica: il sogno del kebab era vero
Il duo tedesco, composto da Gabi Delgado-López e Robert Görl, interpretò lo spirito dei tempi a ridosso del Muro tra anni Settanta e Ottanta. E il loro concerto a Berlino il 30 settembre si annuncia come il canto del cigno di una città che si estingue Anticipazione Uno dei brani storici della band aveva versi che parlano di oggi: «La cultura turca tra il filo spinato/Atatürk è il nuovo signore» e «Germania tutto è finito/ noi siamo i turchi di domani»
Già il loro nome d’arte Deutsch-Amerikanische Freundschaft, amicizia tedesco-americana, spalanca un mondo. Siamo alla fine degli anni Settanta, al crollo delle ideologie, nella zona della stagnazione più completa. Siamo a Berlino Ovest, avamposto folle di un mondo che boccheggia tra l’immobilismo sovietico della Russia brezneviana e il pugno forte dell’America. I due ragazzi provenienti da Düsseldorf hanno idee chiare, tanto da permettersi un nome che scimmiotta i patti di mutua amicizia tra Paesi fratelli comunisti. E quell’acronimo, D.A.F. così insolentemente vicino a R.A.F., la Rote Armee Fraktion della cosiddetta banda BaaderMeinhof, che da poco ha visto stroncata la sua esistenza a Stammheim, il carcere di massima sicurezza dove uno dopo l’altro muoiono i suoi militanti.
Gabi Delgado-López, voce, Robert Görl, elettronica e percussioni, partono da subito con parole chiare che poco hanno a che fare con l’immaginario rockettaro: «Gettati in ginocchio e batti le mani, scuoti i fianchi e balla Mussolini/ balla Mussolini/ e balla Adolf Hitler». Il corpo seminudo di Delgado-López, i suoi testi severi, la voce grave, il sintetizzatore ossessivo e basilare di Görl, il suo picchiare automatico sui tamburi, forse più di chiunque altro hanno saputo rappresentare l’estetica e lo spirito di una Germania schiacciata nei suoi fantasmi. Canzoni cavernose in lingua tedesca, suoni che dichiarano immediatamente la loro provenienza geografica, capaci di tradurre in atmosfera politica le intuizioni dei pionieri musicali degli anni precedenti, come i Kraftwerk e i CaN. E che rinchiudono il volo verso il cielo di Tangerine Dream, Popol Vuh, Ash Ra Tempel, Amon Düül — i gruppi della Kosmische Kuriere elettronica tedesca — in una claustrofobia polimorfa e sessuata che rispecchia pienamente il carattere della Berlino di allora.
Nessuna liberazione dal Muro e da un passato da rigettare, tanto che le urla e gli stivali neri sono onnipresenti nel loro campionario lirico. «Io non canto come nel rock’n’roll, piuttosto come in un discorso di Hitler; non è questione di essere nazisti, è solo il carattere tedesco, quella crack-crack-crack way of speaking ». E insiste, Delgado-López: «Abbiamo la nostra propria identità. Una identità che non è americana».
Nessuna redenzione è possibile. Tanto che per essere sdoganati verso la Berlino delle mille liberazioni, i Daf devono passare attraverso la riproposizione di una delle loro canzoni più forti — Kebabtraüme — da parte di un altro gruppo tedesco, Fehlfarben. Il successo è immediato, «Sogni di kebab» viene accolta come inno da parte dei tanti hausbesetzer cittadini, gli occupanti di case che affollano i quartieri di Kreuzberg e Schöneberg. Se il testo si popola di parole inconsuete («la cultura turca tra il filo spinato/ Atatürk è il nuovo signore»), il ritornello della canzone, profetico, suona come un avvertimento: «Germania Germania tutto è finito/ noi siamo i turchi di domani». La festa è finita, senza rimedio, e alzare il volume d’ascolto pare essere l’unica strategia rimasta per chi ha confuso Berlino con un rifugio protet- to. La canzone, assieme a un altro paio di singoli, Der Mussolini e Der Raüber und der Prinz, («Il brigante e il principe») circolerà in tutta l’Europa giovanile, imponendo il duo come il gruppo più rappresentativo della scena tedesca, assieme ai concittadini Einstürzende Neubauten.
A venticinque anni da allora sono ancora sporadicamente in attività, i Daf, e negli anni si segnalano un durissimo video, Der Sheriff, dedicato al presidente George W. Bush all’indomani dell’attacco all’Iraq, e un recente morbido remix di Der Mussolini da parte di Giorgio Moroder. Il prossimo 30 settembre si esibiranno all’Astra Arena di Berlino, un’occasione magnifica per chi volesse avere l’idea di che cosa abbia significato l’andare a Berlino per un paio di generazioni, quelle che hanno vissuto all’ombra del Muro e poi all’ombra della sua caduta.
Ma c’è molto di più. Il concerto si terrà alla cosiddetta Raw-Gelände, la «zona grezza» ritagliata come ultimo rifugio alternativo traWarschauer strasse e Ostkreuz nel quartiere di Friedrichshain.
Cinque ettari di case occupate, locali, laboratori in un’abbandonata area ferroviaria dell’ex Germania Est, dove ogni notte alcuni tra i club più amati — Astra, appunto, e Suicide Circus, Crack Bellmer, Cassiopeia — attirano intere processioni di giovani da tutta Europa. Orti improbabili tra i vetri rotti, betulle, un cinema all’aperto — il Freiluftkino —, un enorme bunker costellato di pietre da arrampicata per gli amanti del climbing, la Skatehalle per gli skater, l’offerta vegana, i corpi tatuati, il coro degli spacciatori ai limiti dell’area, l’infinità delle birre, il battito costante del cuore techno. Tutta l’attrattiva ruvidezza che Berlino sa offrire ai suoi amanti, raccolta in un contesto spezzato tra la voglia di vivere di sogni propri e l’oppressione per l’imminenza della chiusura del ciclo.
La grande scritta «Basf» che sovrasta l’orizzonte della Raw-Gelände, la vicinanza della Mercedes-Benz Arena, le tante gru gialle illuminate di notte segnalano che tutto questo sta per terminare. Qui accanto sta sorgendo il più grande centro commerciale d’Europa, il quale non tollererà alcuna vicinanza imbarazzante, tanto che i piani per lo smantellamento dell’intera area occupata sono già in cammino. Non c’è nulla come partecipare al concerto dei Daf per avere chiaro il senso di questa pressione sugli animi e sulla città.
La festa è finita, nuovamente, la nuova capitale uscita dal crollo del Muro anziché rilanciare mondi nuovi ha riproposto la progressiva emarginazione di chi non si vuole allineare.
Le vecchie periferie diventano centro, la gentrificazione, parola sempre più di moda per designare con gentilezza l’appropriazione degli spazi urbani da parte del capitale, pare inarrestabile. Non c’è spazio o tempo per microeconomie e sogni residuali, a Berlino come altrove. Quello dei Daf il 30 settembre all’Astra Arena sarà uno sfogo, forse l’ultimo canto di un mondo che muore, incolpevole e sopraffatto.