Corriere della Sera - La Lettura
Baby-bellissime per realizzare i sogni dei genitori
uando ho visto la mia piccola comparire in tv è stata l’emozione più grande della vita», racconta la mamma di una baby modella a Flavia Piccinni, autrice di Bellissime. Baby miss, giovani modelli e aspiranti lolite (Fandango). Reportage, narrazione, catalogo (nel senso di studio antropologico), Bellissime è il libro che aggiorna un tema, quello dei bambini star, poco affrontato in Italia dai tempi di Bellissima di Luchino Visconti con Anna Magnani e Tina Apicella, bambina famosa per un unico film. Più precisamente: a sessantacinque anni da quel film nessuno — scrittori, registi, intellettuali — ha aggiunto altro alla questione, i pochi che hanno tentato sono finiti a ribadire l’intuizione poetica di Visconti che ripetuta è diventata maniera, esattamente come la borgata di Pasolini aggiornata solo da Walter Siti trent’anni dopo.
Così sul tema dei bambini star — mentre dall’America romanzi, documentari e programmi tv ci restituiscono un mondo in continua evoluzione (coach di bambine, denti finti a coprire quelli da latte, depilazione permanente per creare vere bambole) — in Italia mancava la documentazione, ovvero l’attualità che finalmente ci racconta Flavia Piccinni con questo libro straordinario.
In Bellissime non troviamo solo la madre che attraverso la bambina tenta di realizzare il suo sogno mai realizzato («A Catania lavoravo in un negozio di vestiti, ho anche fatto delle fotografie, poi mi sono sposata»; oppure: «Avrei voluto fare Non è la Rai. Avevo sedici anni, ero bellissima, guardavo Ambra e le altre...»). Qui le psicologie si diversificano, le motivazioni anche. Il fenomeno non riguarda più, come sessantacinque anni fa, un’unica classe sociale ma è trasversale a ceto e livelli di istruzione.
Flavia Piccinni riesce dove nessuno è riuscito in questi anni perché il suo è lo sguardo della scrittrice che si sofferma su dettagli e sentimenti, rispettando la pluralità contro la tipicizzazione della fenomenologia. E perché l’autrice trova la misura perfetta, fatta di empatia invece che di giudizio. Dà spazio alle voci di genitori, bambini e organizzatori. Una realtà dove malizia e innocenza si mischiano: quali sono gli adulti e quali i bambini?
Ecco allora simboli d’infanzia resistere in un universo adulto come oggetti dispersi in mare dopo un naufragio: un orsacchiotto, una bambola. E allora: «Agata, che ne dici di farmi una piroetta?», chiede il selezionatore alla bambina di due anni, poco importa che due anni siano pochi per saper fare la piroetta. E allora: «Amore, guarda l’uccellino», ordina il fotografo alla bambina che si distrae durante un servizio. E poi un nonno, perché qui, in questa nuova generazione di piccole aspiranti star compaiono anche i nonni, e dunque il nonno di due gemelle che dice: «Questi bambini sono belli a tempo. Sono belli fino a quando sono bambini, poi una volta che diventano adolescenti, ma anche prima, una volta che non sembrano più delle bamboline non li vuole più nessuno». Il limite per sfilare nella moda bambini è 130 centimetri. Lo spettro che significa fine, oblio, non guardare più l’uccellino, amore. (te. c.)