Corriere della Sera - La Lettura
Nel filosofo Melville la parola è mistero
Una navigazione filosofica nei capolavori di Herman Melville, come Moby Dick e Bartleby, è proposta dal volume di saggi Melville’s
Philosophies, uscito negli Stati Uniti e curato da Branka Arsic e K. L. Evans (Bloomsbury, pp. 410, $120). Sedici studiosi riflettono in altrettanti capitoli sulla ricerca che Melville conduce come narratore (già commentato da Blanchot, Deleuze, Derrida e altri), ma anche come pensatore. Un Melville filosofo, che si interroga sul reale affrontandone uno dei confini visibili, quello delle parole. E che critica il riduzionismo dell’epoca: non la scienza, bensì il fatto di semplificare le cose del mondo ai minimi termini empirici. La consapevolezza, ad esempio, che la «balena» di cui egli scrive non è reale (anzi è solo «qualcosa» cui per uso diamo un nome) apre dietro il vocabolo (e dietro il reale ) scorci imperscrutabili. Ed è a quell’imperscrutabile che Melville aspira, e forse attinge.