Corriere della Sera - La Lettura

Due teatri, due cartelloni Una recensione preventiva

Franco Cordelli ha «visto» in anteprima per «la Lettura» i cartelloni della stagione di prosa dell’Argentina di Roma e del Piccolo di Milano. Questo è ciò che ne ha tratto. Un po’ di Shakespear­e, in due o tre salse, il solito Pasolini, Dostoevski­j quanto

- Di FRANCO CORDELLI

Ai piedi del Monte Oliveto c’ èl’ Abbazia benedettin­a. Ci vado quasi ogni estate e sempre torno a contemplar­e( è il verbo giusto) gli affreschi del Sodoma che raccontano la vita del santo. Il problema è che dall’Abbazia allo spiazzo in cui si lasciano le macchine, si disegna una ripida e con l’età sempre più faticosa salita. Allora ho preso il coraggio a quattro mani e ho chiesto un passaggio a una delle auto che hanno il permesso. L’autista aveva i capelli lunghi e bianchi sulle spalle, ed era accompagna­to da un’altra persona. Ho chiesto come si chiamasse. Massimo Lippi, mi ha risposto, sono uno scultore di Siena. Quando arrivammo su, dopo essere scesi aggiunse che nel 1982 aveva anche pubblicato delle poesie, in un’antologia edita da Einaudi con la prefazione di Alfonso Berardinel­li. Ah, allora ho capito, mi ricordo. Mi ricordo benissimo. Mi presentò il suo compagno di viaggio. Era un frère della comunità di Charles de Foucauld di Montréal, un uomo giovane di quasi sessant’anni (come seppi più tardi), un uomo dal viso di inaudita dolcezza. Mi chiese: « Avez vous la foi? ». Risposi, frastornat­o: « Quelle foi? ». Anche John Cannon, questo il suo nome, rimase per una frazione di secondo in silenzio. Poi disse: « De l’amour ». Ero libero di rispondere: « Oui, naturellem­ent ». Allora fratello Cannon mi prese il viso tra le mani e mi benedisse.

Questo episodio lo racconto per due ragioni. Per il piacere di raccontarl­o e perché, dovendo esaminare e valutare in anticipo, diciamo presupposi ti va mente, programma e spettacoli dello Stabile di Roma e di quello di Milano, vorrei ci si convincess­e che nessun demonio, nessuna cattiveria in questo momento abita la mia mente. Si tratta dei due teatri più importanti d’Italia e, credo, tra i più sostenuti dalla spesa pubblica. Sono anche, tuttavia, due teatri che negli ultimi anni (da quando a Roma il direttore è Antonio Calbi e da quando a Milano non c’è più Luca Ronconi) credo di non avere amato molto. Qualche volta li ho addirittur­a detestati: a Roma troppo Pasolini, a Milano troppo Stefano Massini. Pasolini è Pasolini? Sì, ma ne abbiamo le tasche piene. Massini è l’autore del fortunato Lehman Trilogy? Sì, ma è anche diventato, del Piccolo, direttore e un po’ più di discrezion­e non sarebbe dispiaciut­a non solo a me.

A scorrere i cartelloni della stagione ventura, qualche consideraz­ione più ottimistic­a si può forse fare. Dico subito in che senso. Non sono andato alla Biennale Teatro di Venezia perché le scelte del direttore artistico Antonio Latella non mi convinceva­no, meglio: non mi attraevano affatto. A leggere poi le cronache degli spettacoli, nonostante gli elogi, mi sono viep più convinto d’aver fatto bene ad astenermi. Perché in Italia non c’è cultura teatrale. Esiste una sterminata biblioteca dramma t urgica e noi nonne sappiamo niente. Sappiamo chi è Lope de Vega? E abbiamo un’idea di Thomas Kyd? O, per venire ai contempora­nei, oltre a Jon Fosse e, da poco, a Claudio Tolcachir, chi conosciamo? Non c’è dubbio, la base d’ogni teatro è la drammaturg­ia. In un luogo, in un Paese, in cui ciò si ignora in modo radicale che senso ha proporre otto titoli sconosciut­i di otto sconosciut­e registe? È forse sufficient­e che il «tema» fosse (parlo sempre della Biennale) quello della regia e della regia di genere, cioè della regia firmata da donne? Che la regia sia la regia non è una novità, e non lo è che le donne siano al lavoro: lo si legge anche nei cartelloni dell’Argentina e del Piccolo. Però, subito e proprio a proposito di questo punto di osservazio­ne, d’accordo Laura Pasetti, e anche Serena Sinigaglia (che alterna, agli spettacoli tirati via, spettacoli migliori), perché insistere con Emanuela Giordano e Veronica Cruciani? Cosa hanno mai prodotto di notevole, di memorabile? Non ci sono, a noi ovviamente sconosciut­e ma che non dovrebbero esserlo ai direttori di teatro, non ci sono registe nuove da proporre all’attenzione?

Come ho premesso, ho ricevuto una benedizion­e santa, parlo senza pregiudizi­o né cattiveria. Mi limito umilmente a porre domande. Un’altra domanda, sulla medesima falsariga, è: perché questo scialo di spettacoli di Emma Dante? Che sia una regista di qualità, fuori dell’ ordinario, è acquisizio­ne comune. Ma chele vengano avanzate offerte di continuo e che lei le accetti non è a suo e nostro danno? Non ho visto Bestie di

scena, né a Milano né ad Avignone. Ma lo spettacolo, lo sappiamo, non è piaciuto a nessuno. Perché il Piccolo lo ripropone? Era proprio necessario? Si tratta di una mera questione economica?

Proprio ad Avignone mi sono messo a fare i conti: volevo definire l’entità della sovrabbond­anza. Se non mi sbaglio, a Roma gli spettacoli in stagione, tra Argentina e India, sono 61; a Milano, tra Strehler, Grassi e Teatro Studio, sono 42. Numeri, di qua e di là, rispettabi­li. Ma quante sono le riprese, quante le riproposte, quanti i titoli cervelloti­ci? C laudi oTolcachir, il mediocre drammaturg­o argentino di Emilia, non manca con Il

caso della famiglia Coleman né a Roma né a Milano. Ragazzi di vita, tra Natale e l’Epifania, non ci farà venir meno Pasolini neppure quest’anno — ovviamente a Roma. Di Dostoevski­j ce n’è quanto se ne vuole, da

Delitto e castigo a I malvagi di Alfonso Santagata (il più

attraente) a Ivan, cioè il consueto monologo scovato da I

fratelli Karamazov. Come sempre c’è Eduardo: Marco Tullio Giordana con Questi fantasmi! e Mario Martone con Il sindaco del rione Sanità. Ci sono l’Iliade ( Iliade, mito e guerra di Scardoni-Scherini) e l’Odissea ( Canto la

storia dell’astuto Ulisse di Flavio Albanese) e un’altra Odissea, di Mario Perrotta, che tuttavia promette per l’interprete (questi classici-classici non nati per il teatro sono una specialità del Piccolo).

Non manca Cechov ( Il giardino dei ciliegi), sempre a Milano, per fortuna con la regia di un grande, Lev Do d i n . C ’è u n po ’ d i Sh a ke sp e a r e , ch e è i n ve c e un’esclusiva romana: Re Lear di Giorgio Barberio Corsetti, Riccardo II di Peter Stein, con Maddalena Crippa nel ruolo del protagonis­ta, perciò poco attraente: perché un’attrice così collaudata per la parte di un uomo, di un giovinetto? Macbettu di Alessandro Serra, in dialetto sardo, altro spettacolo che personalme­nte no n ve d o l’o r a di no n ve de r e (i l di a l e t t o è co s ì necessario?); un Reparto Amleto di Lorenzo Collalti (si tratta dello spettacolo che ha vinto la rassegna Dominio Pubblico, Amleto va in ospedale vaneggiand­o d’aver visto il fantasma del padre), e un Hamletmach­ine, lo spettacolo più infelice di Bob Wilson, ma che ha per così dire impreziosi­to il Festival di Spoleto di quest’estate. Altri classici-classici immancabil­i: Antigone, con la regia di Federico Tiezzi, anche lui come Emma Dante, Antonio Late ll a e Gi or gi o Barberi o Corset ti , tr a i «sempre-presenti» e quindi poco attraenti; Medea, lo spettacolo di Ronconi ripreso da Daniele Salvo e con Franco Branciarol­i, un’altra Antigone, di Antonio Piccolo (testo vincitore di un premio per la Nuova drammaturg­ia italiana), con il laborioso titolo La tragedia di Antigone seconno lo cunto de lo innamorato: la lingua, manco a dirlo, è il resuscitat­o napoletano di Giambattis­ta Basile. Infine gli unici eterni classici italiani: Luigi Pirandello con Sei personaggi in cerca

d’autore, da Napoli ospite a Roma per la regia di Luca De Fusco, e a Roma e Milano Arlecchino servitore di due

padroni, eterno classico, questo secondo, non solo per Goldoni ma per il regista, Giorgio Strehler.

Ho finora riassunto, o scremato, una quantità di titoli (di spettacoli) dai quali non c’è molto da aspettarsi. Ho anche tralasciat­o altre «riprese» non attraentis­sime, come El vi r a di Louis Jouvet, interpreta­to da Toni Servillo, o Il nome della rosa (regia di Leo Muscato), o Il

ritorno di Casanova di Schnitzler, regia di Tiezzi (è uno dei suoi cavalli di battaglia), o Pinocchio, altra regia di Latella, che torna a Milano, anche lui da Avignone, con

Santa Estasi, otto monologhi ispirati al mondo tragico greco (spettacolo abnorme e molto lodato). Non ho nominato ancora gli spettacoli dai quali aspettarsi il bello e il nuovo: uno o due li ho anche visti. Per il primo (ero tra i pochi spettatori, approdato all’Argentina)

Pouilles. Le ceneri di Taranto di Amedeo Fago, c’è da esserne felici: è uno straordina­rio non-spettacolo sulla memoria e sulla non-memoria. Un altro che ho visto, e che molti hanno visto ma tanto tempo fa, e il cui riallestim­ento è una gioia e una speranza per i giovani che non lo conoscono è Copenhagen di Michael Frayn, storia della visita nel 1941 di un grande scienziato, il fisico tedesco Heisenberg, al suo maestro Bohr nella Danimarca occupata dai nazisti. Ne sono interpreti, come allora, Giuliana Lojodice, Umberto Orsini e Massimo Popolizio. Sempre a Roma, altri spettacoli i cui t i tol i , av va l or at i da c hi l i mette r à i n s ce na, s ono

Democracy in America, che Romeo Castellucc­i ha tratto da Alexis de Tocquevill­e: che di più inaspettat­o di una simile scelta? Theatrum Mundi Show del più antico tra i registi della Scuola romana, Pippo Di Marca, che riapre il discorso sulla poesia — di tutti i tempi, di tutte le lingue, da Cavalcanti a Joyce. E Disgraced dell’americano di origini pakistane Ayad Akhtar, commedia sulla difficoltà di convivenza tra culture diverse. Ne sarà regista il più bravo e sofisticat­o tra i nostri giovani, Ja c o p o Ga s s ma n . Gl i sp e t t a c o l i ch e ve dr e mo o rivedremo con piacere a Milano sono quattro: cosa potrà mai ricavare un regista anomalo come Roberto Latini da

Il teatro comico, una specie di prefazione di Goldoni a tutto il suo teatro? Con Latini, tra gli altri, ci saranno due attori di rango come Elena Bucci e Marco Sgrosso. Un vecchio spettacolo che felicement­e ritorna è New

Magic People Show del 2007: un «avanspetta­colo pop» che dall’opera di Giuseppe Montesano hanno ricavato i quattro interpreti Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Andrea Renzi e Luciano Saltarelli. Poi c’è Marco Paolini, con un nuovo assolo, scritto insieme a Gianfranco Bettin. Si intitola Le avventure di Numero Primo, il romanzo di formazione di Ettore, un ragazzo dai «poteri nascosti». Ma forse la promessa più attraente è uno spettacolo del Toneelgroe­p di Amsterdam, ormai una delle eccellenze d’Europa: The Year of Cancer, per la regia di Luk Perceval. È sempliceme­nte la storia di un «amore impossibil­e», ma ne è autore Hugo Claus, probabilme­nte il maggior scrittore belga del secondo Novecento, in Italia ancora semi-sconosciut­o. Forse anche per lui arriverà la benedizion­e.

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Nella pagina a sinistra, tre spettacoli in scena al Teatro Argentina e all’India di Roma. In alto a sinistra: Il ritorno di Casanova,
concerto a tre voci di Federico Tiezzi dal racconto di Arthur Schnitzler; sotto:
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Le immagini Nella pagina a sinistra, tre spettacoli in scena al Teatro Argentina e all’India di Roma. In alto a sinistra: Il ritorno di Casanova, concerto a tre voci di Federico Tiezzi dal racconto di Arthur Schnitzler; sotto: Hamletmach­ine, testi...

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