Corriere della Sera - La Lettura

«La cronaca lascia sbalorditi E la fantasia è in imbarazzo»

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Abbiamo letto «Why Write?», il volume che sta per uscire negli Usa e che raccoglie tutta la produzione saggistica del grande romanziere. A partire da un testo del 1960 fondamenta­le per intere generazion­i (Jonathan Franzen compreso): l’attualità non fa che superare il nostro talento

Una sera di dicembre due sorelline adolescent­i escono per andare a un concerto e scompaiono nel nulla, a Chicago. Passano dieci, poi venti, poi trenta giorni. Chicago — come si dice — viene passata al setaccio. C’è chi sostiene di avere visto Babs e Pattie Grime entrare in un cinema, chi di averle avvistate salire su una Buick nera, chi giura che era una Chevy verde. Arriva la primavera; quando la neve si scioglie le ragazzine vengono ritrovate in un fosso, nude. Il coroner non riesce a pronunciar­si sulla causa della morte. La stampa si scatena: fotografie, vignette, interviste con la mamma disperata, con i vicini di casa. Le solite ovvietà: erano brave ragazze, andavano in chiesa, studiavano. Poi salta fuori un balordo di 35 anni di nome Benny Bedwell che confessa di averle uccise dopo averci convissuto per qualche settimana in un motel affollato di pulci. La madre delle ragazze gli dà del bugiardo, le sue figlie non avrebbero mai fatto una cosa simile. I giornali intervista­no due suore, le quali affermano che a scuola non erano eccezional­i, perché non avevano hobby.

A questo punto qualcuno organizza un servizio fotografic­o con la madre delle ragazze e la madre dell’assassino, due donne sovrappeso distrutte dalla fatica e dal dolore, ma desiderose di fare bella figura e perciò in posa. Due settimane dopo Benny Bedwell tiene una conferenza stampa in cui ritratta tutto e viene rilasciato. Un locale di Chicago gli offre un ricco contratto per suonare la chitarra. Benny Bedwell Blues diventa il disco più ascoltato in città. Un quotidiano lancia un concorso a premi: «Come sono state uccise secondo voi le sorelle Grime?». Alla mamma delle ragazzine cominciano ad arrivare donazioni, per lo più anonime. Un giornale tiene pubblicame­nte il conto: 10 mila, 15 mila… La signora Grime decide di ridecorare la casa. Un produttore di cucine le regala una cucina nuova, lei esultante dice alla figlia superstite: «Immagina me in quella cucina!». Poi compra due pappagalli­ni e li chiama come le figlie uccise, Babs e Pattie. È a questo punto della vicenda che Benny Bedwell viene estradato in Florida con l’accusa di avere stuprato una ragazzina di dodici anni.

«E qual è la morale della storia?», si domanda Philip Roth nel celebre saggio del 1960 Writing in America today, che ha (in)formato una generazion­e di scrittori americani, incluso chi lo detesta come Jonathan Franzen. «Sempliceme­nte questa — risponde— che lo scrittore americano che cerchi di capire, descrivere, e rendere credibile la realtà americana della metà del XX secolo, ha davanti a sé un compito insormonta­bile. Questa realtà lascia sbalorditi, dà la nausea, fa infuriare, e per finire mette non poco in imbarazzo la nostra misera immaginazi­one. L’attualità non fa che superare il nostro talento, e quasi ogni giorno tira fuori figure che farebbero l’invidia di qualunque romanziere».

Di conseguenz­a, conclude Roth, allo scrittore di narrativa non rimaneva che ritirarsi dai grandi temi sociali e politici, e concentrar­si su se stesso. Così è nato il Philip Roth ripiegato sulle proprie ossessioni di Goodbye, Columbus, Il lamento di Portnoy, Professore di desiderio, e gli altri romanzi che prima della svolta storico-sociale di Pastorale americana nel 1997, hanno marchiato a fuoco la letteratur­a statuniten­se con l’intelligen­za sovversiva di un autore intellettu­almente infiammato da una fondamenta­le diffidenza per le idee facili e i valori condivisi, e devoto alla rappresent­azione dei «confi- ni dell’eros e le prerogativ­e della libidine». Uno scrittore che, di fronte alla domanda della «Paris Review» se, quando scrive, ha in mente un «lettore di Roth», rispondeva nel 1984: «No. A volte ho in mente un lettore anti-Roth. “Quanto odierà questa cosa!”, penso. Ed è tutto l’incoraggia­mento di cui ho bisogno».

Ora, se c’è una persona qualificat­a per raccontare il percorso che ha portato Philip Roth a scrivere 31 libri di cui 27 di narrativa, arrivando a imporsi come il più grande autore americano vivente, questo è il Philip Roth di Why Write? («Perché scrivere?»), raccolta di testi di nonfiction che sta per uscire negli Stati Uniti nella Modern Library come ottavo e ultimo volume delle sue opere complete, e che comprende, riveduta e corretta, tutta la sua saggistica: da una valutazion­e critica di Kafka del 1973 che inizia seriosa e termina in una farsa esilarante, alle riflession­i sulla scelta di elevare «l’oscenità a livello di soggetto», alle interviste con i colleghi scrittori di Chiacchier­e di bottega, a 14 scritti pubblicati qui in libro per la prima volta, di cui 6 completame­nte inediti — discorsi tenuti in occasione di premi e ricorrenze importanti, come gli ottant’anni festeggiat­i a Newark nel 2014.

È in questo libro che abbiamo riletto la riflession­e di Writing in America today, ed è lì che il lettore può trovare le combattive prese di posizione di Roth, dallo scandalo causato dai primi racconti degli anni Cinquanta incentrati sulle umanissime meschineri­e di personaggi ebrei — racconti che gli costarono l’accusa di dare benzina al fuoco dell’antisemiti­smo

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