Corriere della Sera - La Lettura
Mio papà, cioè l’Indonesia
Un uomo sta morendo. Ha intorno la famiglia. La sua vita ha ricalcato la storia del suo Paese: stessa data di nascita, un figlio venuto al mondo quando anche la patria si è presa un nuovo territorio. Che cosa succederà, adesso, alla nazione?
Arrivai alla casa subito prima della preghiera dell’alba. Poco dopo arrivò anche mia sorella minore. Aprì la porta, piangendo. «Papà è morto?». «Non ancora», dissi io. «Il medico ha detto di sì». Dopo aver visto che papà era ancora vivo, sebbene incapace di muoversi, smise di singhiozzare. Raccontò che aveva ricevuto una telefonata da mia madre, e mamma le aveva detto esattamente la stessa cosa che aveva detto a me: Vieni a casa se puoi, l’infermiera che si occupa di tuo padre ha detto che i reni stanno cedendo. Prima di partire, mia sorella era passata dall’ambulatorio del campus perché le prudeva un occhio.
Dopo aver fatto l’esame, aveva chiesto al medico: «Già che sono qui, cosa succede se i reni smettono di funzionare?».
Senza alzare gli occhi dalla ricetta che stava scrivendo, il medico aveva risposto: «Si muore».
«Oh, mio Dio!» aveva strillato lei. Era scoppiata in lacrime, allarmando il medico. Aveva continuato a piangere per tutto il tragitto fino a casa, convinta che papà se ne fosse già andato.
Sono sicuro che, se avesse sentito la nostra conversazione, papà si sarebbe fatto una risata. Gli piaceva ridere. O forse aveva sentito, solo che non poteva muoversi, neanche dischiudere le labbra per una risatina. E se aveva sentito, sono sicuro che aveva riso in silenzio fra sé e sé. Aveva riso fino a scivolare nel sonno.
Ci radunammo intorno a papà. Mia madre e la più grande delle mie sorelle minori lessero la sura Ya Sin. Io non mi unii a loro. Sapevo leggere il Corano, ma non con la loro stessa scioltezza, perciò preferii ascoltare e basta. Anche gli altri miei fratelli e sorelle non se la cavavano meglio di me.
Era stato papà a insegnarci a pregare. Se non erro, ho letto tre volte il Corano da cima a fondo. Papà aveva aperto dietro casa una piccola surau dove insegnava ai bambini del vicinato a recitare le preghiere. Il venerdì teneva anche i sermoni alla moschea. Ogni venerdì mattina lo vedevo mettere per iscritto quel che avrebbe detto. Quando il muezzin di quella moschea era morto, lui aveva preso il suo posto.
D a t o c h e l a mos c h e a a p p a r t e n e v a a l l a Muhammadiyah (la più antica organizzazione islamica indonesiana, fondata nel 1912 con un’agenda modernizzatrice, ndr), molti pensavano che papà facesse parte dell’organizzazione. Per lui non era un problema, seguiva il calendario della Muhammadiyah per i digiuni e per la festa di Eid, inclusa la recitazione delle preghiere tarawih (orazioni per la notte nel mese del Ramadan, ndr) per 11 volte. Ma in caso di necessità era pronto a recitare le preghiere tarawih con quelli della Nahdlatul Ulama (organizzazione islamica fondata nel 1926 di orientamento conservatore, ndr) — ad esempio con mio nonno, che insisteva sempre per recitarle 23 volte. Seduto lì a guardare papà, mi domandavo se avesse mai desiderato che uno dei suoi figli prendesse il suo posto sul pulpito.
«Come faresti a pronunciare un sermone, tu che non sei neanche capace di pregare come si deve?», avrebbe detto mia madre. E avrebbe avuto ragione. Se papà l’avesse voluto, mi avrebbe fatto frequentare un collegio religioso — invece mi aveva permesso d’andare all’università e laurearmi in filosofia pur sapendo che probabilmente avrei smesso di pregare o digiunare. Quando, dopo il terzo semestre, ero tornato a casa indossando una maglietta con la faccia di Lenin, era stata mia madre a lamentarsi: «Guarda, tuo figlio è diventato un cumunista! ». Non aveva detto comunista ma cumunista.
Papà, come sempre, si era fatto una risata. Aveva anche lasciato che mio fratello minore si laureasse in zootecnia e lui, dopo aver condotto alcuni esperimenti con diverse varietà di pollame, aveva deciso che era d’accordo con Charles Darwin: umani e scimmie avevano un antenato in comune, Adamo ed Eva non erano mai esistiti. Papà non aveva fatto una piega, e gli aveva dato i soldi per mettere in piedi un’azienda avicola.
Alle elezioni del 1999 mamma votò per il Partito della mezzaluna e della stella (anche papà, dopo che per anni aveva votato il Masyumi, e poi il Partito unito per lo sviluppo), e riattaccò con le sue lamentele. Questo perché in tutto il villaggio un’unica persona aveva votato per il Partito