Corriere della Sera - La Lettura
Decidete voi chi vive e chi no I dilemmi dello show interattivo
Dalla vita al palcoscenico (e viceversa) Il commediografo Rob Drummond a Londra sollecita gli spettatori, svelando le contraddizioni della democrazia
Si racconta che il premier Winston Churchill dormì profondamente la notte avanti il bombardamento di Londra… Nessuno lo sa con certezza. Ma conoscendo la risolutezza di Churchill — diceva che la democrazia funziona quando a decidere siamo in due, e l’altro è malato — non fu probabilmente travolto da manzoniani tormenti quando seppe che le V-1 di Hitler sarebbero comparse nel cielo d’Inghilterra. La storia racconta che nel 1944 i tedeschi erano pronti a colpire il cuore della capitale. Ma avevano sbagliato i calcoli: le traiettorie delle bombe volanti sarebbero finite in realtà sui quartieri meridionali, meno popolosi. Avvertito dell’errore, Churchill non fece nulla per correggerlo, anzi: con falsi informatori, lasciò che tirassero proprio lì. Mettendo in pericolo centinaia di vite sparpagliate nelle casette del sud di Londra. Ma salvandone decine di migliaia del centro, che nei palazzi non avrebbero avuto scampo.
Sacrificarne uno per risparmiarne cento? Dalle domande angoscianti sulle trattative per Aldo Moro (barattare la sopravvivenza dello Stato con quella d’un cittadino) al blocco dei riscatti nei sequestri di persona (abbandonare l’ostaggio al suo destino per impedire che altri vengano presi), il dilemma di Churchill è una costante della filosofia. Da Aristotele a Kant. Spesso le scelte più utili e drammatiche vengono fatte dai poteri nelle segrete stanze: i «danni collaterali» d’un bombardamento, torturare un terrorista perché riveli i suoi segreti… Ma in un’epoca di leaderini indecisi a tutto, i sondaggi come oracoli, accade che il politico s’attacchi al popolo. O al populismo. E gli chieda di scegliere su grandi questioni etiche o minuscole vicende politiche. Fra Gesù e Barabba come della privatizzazione delle acque. La democrazia dei like. Le parlamentarie online. L’auditel del consenso. Vox populi voluntas Dei: in Italia abbiamo avuto 72 referendum in 71 anni di Repubblica. «Ma sappiamo esattamente per che cosa stiamo votando?», risuona la domanda nel National Theatre di Londra, dove il commediografo e attore Rob Drummond va in scena col suo monologo interattivo The Majority: siamo certi che la maggioranza abbia sem- pre ragione? E che scegliere sia facile? che il cinismo dei Grandi del Mondo non sia lo stesso che adotteremmo noi se ci toccasse decidere?
Giudici dei destini. Per una sera. In sottofondo un battito cardiaco e un ronzio di api, fra schermi con immagini di manifestazioni e rivolte, Drummond è come il presentatore d’un gioco tv e fornisce a ogni spettatore un telecomando — schiaccia 1 per il sì, schiaccia 2 per il no: «la Lettura» era l’elettore X9 — con una serie di domande. Da quella basica sul sistema elettorale (siete d’accordo con questo modo di votare? Il 6,1% dice no, e già ci si chiede perché allora abbiano comprato il biglietto dello spettacolo…) ad altre più incalzanti per capire che la platea è: progressista e liberal (88,9%), bianca (89,7), femminile (53,5), utilizzatrice di social (70,11), contro la Brexit (90,5). Il giochino all’inizio sembra innocuo. Ma se è facile definirsi, altro è essere. E le contraddizioni dei votanti cominciano a spuntare quando vengono narrati casi estremi, per esempio un «pacifico raduno» di neonazi, e ci si deve pronunciare coerenti alle premesse: a precisa domanda, la platea liberal ammette (63,6%) che la libertà di parola non è sempre un diritto assoluto e che, udite udite, la violenza talvolta può essere una buona risposta (50,4). Vecchia storia, lo s’era già visto col Marlon Brando di Queimada: talvolta sono proprio quelli apparentemente più tolleranti ad aizzare rivolte che poi, preoccupati, finiscono per soffocare nel sangue...
Il potere dell’audience è la versione aggiornata del popolo-che-lo-vuole. «La maggioranza si è espressa», è il mantra dello show, che Drummond ha scritto dopo i referendum sull’indipendenza della Scozia e sulla Brexit: «Cerco di pensare in modo teatrale alla politica e in modo politico al teatro. Certo, l’unanimità è la morte del dibattito. Ma come comunichiamo davvero le idee che lo alimentano? Su quali basi decidiamo che una cosa è giusta?».
L’ispirazione sono due famosi indovinelli filosofici, ai quali sono stati dedicati vari testi scientifici (Drummond cita The trolley problem di Thomas Cathcart e Uc
cideresti l’uomo grasso? di David Edmonds) e su cui si chiede il parere della platea, «per dimostrare che la gente crede d’essere razionale ma gli istinti sono facilmente manipolabili». Il primo: un tram sta piombando su cinque persone, tu hai una leva che può deviarlo su una sesta persona sull’altro binario, che fai? Salvi le cinque, sacrificandone al loro posto una sola, o lasci che il destino si compia? Secondo interrogativo: sei su un cavalcavia sopra il tram e, mentre le cinque persone stanno per essere travolte, hai accanto un uomo enorme. Che fai? Butti giù lui e lo uccidi, sapendo che la mole bloccherà il tram e salverà cinque vite, o ancora lasci che siano in cinque a morire anziché uno solo? «Ehi ragazzi, che facciamo col fat man, l’uomo grasso?».
I due casi sono apparentemente uguali, eppure le scelte in sala sono diverse: nel primo, il 74,9% muove la leva e fa crepare un solo innocente; nel secondo, il 65,8 lascia che il destino si compia, salvando il grassone. «I problemi sono un po’ diversi quando non sono idee astratte ma persone in carne e ossa, eh? Vorrei capire la differenza: perché decidete che l’uomo grasso si salva e quell’altro poveretto no? Forse perché siete chiamati in prima persona a cambiare il destino degli altri, sporcandovi le mani, e non solo con una leva, un clic o un voto?».
Diceva George Eliot che la società è un tessuto e non si può tirare un filo senza toccare tutti gli altri. Ma se un uomo è un voto, a ogni voto è appeso il filo dei nostri destini e la scelta del meno peggio o del più ragionevole — Drummond cita anche Trump — non è sempre alla portata della maggioranza. Un bel problema, il grassone. Quando gli americani lanciarono le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, spiegarono al mondo che ammazzare tutta quella gente e in quel modo s’era reso necessario, per chiudere la Seconda guerra mondiale e impedire che ne morisse molta di più. Naturalmente, un giapponese tende a pensarla in modo diverso. E guarda un po’ le coincidenze della storia: la bomba sganciata su Nagasaki si chiamava Fat Man.