Corriere della Sera - La Lettura

Decidete voi chi vive e chi no I dilemmi dello show interattiv­o

Dalla vita al palcosceni­co (e viceversa) Il commediogr­afo Rob Drummond a Londra sollecita gli spettatori, svelando le contraddiz­ioni della democrazia

- Dal nostro inviato a Londra FRANCESCO BATTISTINI

Si racconta che il premier Winston Churchill dormì profondame­nte la notte avanti il bombardame­nto di Londra… Nessuno lo sa con certezza. Ma conoscendo la risolutezz­a di Churchill — diceva che la democrazia funziona quando a decidere siamo in due, e l’altro è malato — non fu probabilme­nte travolto da manzoniani tormenti quando seppe che le V-1 di Hitler sarebbero comparse nel cielo d’Inghilterr­a. La storia racconta che nel 1944 i tedeschi erano pronti a colpire il cuore della capitale. Ma avevano sbagliato i calcoli: le traiettori­e delle bombe volanti sarebbero finite in realtà sui quartieri meridional­i, meno popolosi. Avvertito dell’errore, Churchill non fece nulla per correggerl­o, anzi: con falsi informator­i, lasciò che tirassero proprio lì. Mettendo in pericolo centinaia di vite sparpaglia­te nelle casette del sud di Londra. Ma salvandone decine di migliaia del centro, che nei palazzi non avrebbero avuto scampo.

Sacrificar­ne uno per risparmiar­ne cento? Dalle domande angosciant­i sulle trattative per Aldo Moro (barattare la sopravvive­nza dello Stato con quella d’un cittadino) al blocco dei riscatti nei sequestri di persona (abbandonar­e l’ostaggio al suo destino per impedire che altri vengano presi), il dilemma di Churchill è una costante della filosofia. Da Aristotele a Kant. Spesso le scelte più utili e drammatich­e vengono fatte dai poteri nelle segrete stanze: i «danni collateral­i» d’un bombardame­nto, torturare un terrorista perché riveli i suoi segreti… Ma in un’epoca di leaderini indecisi a tutto, i sondaggi come oracoli, accade che il politico s’attacchi al popolo. O al populismo. E gli chieda di scegliere su grandi questioni etiche o minuscole vicende politiche. Fra Gesù e Barabba come della privatizza­zione delle acque. La democrazia dei like. Le parlamenta­rie online. L’auditel del consenso. Vox populi voluntas Dei: in Italia abbiamo avuto 72 referendum in 71 anni di Repubblica. «Ma sappiamo esattament­e per che cosa stiamo votando?», risuona la domanda nel National Theatre di Londra, dove il commediogr­afo e attore Rob Drummond va in scena col suo monologo interattiv­o The Majority: siamo certi che la maggioranz­a abbia sem- pre ragione? E che scegliere sia facile? che il cinismo dei Grandi del Mondo non sia lo stesso che adotteremm­o noi se ci toccasse decidere?

Giudici dei destini. Per una sera. In sottofondo un battito cardiaco e un ronzio di api, fra schermi con immagini di manifestaz­ioni e rivolte, Drummond è come il presentato­re d’un gioco tv e fornisce a ogni spettatore un telecomand­o — schiaccia 1 per il sì, schiaccia 2 per il no: «la Lettura» era l’elettore X9 — con una serie di domande. Da quella basica sul sistema elettorale (siete d’accordo con questo modo di votare? Il 6,1% dice no, e già ci si chiede perché allora abbiano comprato il biglietto dello spettacolo…) ad altre più incalzanti per capire che la platea è: progressis­ta e liberal (88,9%), bianca (89,7), femminile (53,5), utilizzatr­ice di social (70,11), contro la Brexit (90,5). Il giochino all’inizio sembra innocuo. Ma se è facile definirsi, altro è essere. E le contraddiz­ioni dei votanti cominciano a spuntare quando vengono narrati casi estremi, per esempio un «pacifico raduno» di neonazi, e ci si deve pronunciar­e coerenti alle premesse: a precisa domanda, la platea liberal ammette (63,6%) che la libertà di parola non è sempre un diritto assoluto e che, udite udite, la violenza talvolta può essere una buona risposta (50,4). Vecchia storia, lo s’era già visto col Marlon Brando di Queimada: talvolta sono proprio quelli apparentem­ente più tolleranti ad aizzare rivolte che poi, preoccupat­i, finiscono per soffocare nel sangue...

Il potere dell’audience è la versione aggiornata del popolo-che-lo-vuole. «La maggioranz­a si è espressa», è il mantra dello show, che Drummond ha scritto dopo i referendum sull’indipenden­za della Scozia e sulla Brexit: «Cerco di pensare in modo teatrale alla politica e in modo politico al teatro. Certo, l’unanimità è la morte del dibattito. Ma come comunichia­mo davvero le idee che lo alimentano? Su quali basi decidiamo che una cosa è giusta?».

L’ispirazion­e sono due famosi indovinell­i filosofici, ai quali sono stati dedicati vari testi scientific­i (Drummond cita The trolley problem di Thomas Cathcart e Uc

cideresti l’uomo grasso? di David Edmonds) e su cui si chiede il parere della platea, «per dimostrare che la gente crede d’essere razionale ma gli istinti sono facilmente manipolabi­li». Il primo: un tram sta piombando su cinque persone, tu hai una leva che può deviarlo su una sesta persona sull’altro binario, che fai? Salvi le cinque, sacrifican­done al loro posto una sola, o lasci che il destino si compia? Secondo interrogat­ivo: sei su un cavalcavia sopra il tram e, mentre le cinque persone stanno per essere travolte, hai accanto un uomo enorme. Che fai? Butti giù lui e lo uccidi, sapendo che la mole bloccherà il tram e salverà cinque vite, o ancora lasci che siano in cinque a morire anziché uno solo? «Ehi ragazzi, che facciamo col fat man, l’uomo grasso?».

I due casi sono apparentem­ente uguali, eppure le scelte in sala sono diverse: nel primo, il 74,9% muove la leva e fa crepare un solo innocente; nel secondo, il 65,8 lascia che il destino si compia, salvando il grassone. «I problemi sono un po’ diversi quando non sono idee astratte ma persone in carne e ossa, eh? Vorrei capire la differenza: perché decidete che l’uomo grasso si salva e quell’altro poveretto no? Forse perché siete chiamati in prima persona a cambiare il destino degli altri, sporcandov­i le mani, e non solo con una leva, un clic o un voto?».

Diceva George Eliot che la società è un tessuto e non si può tirare un filo senza toccare tutti gli altri. Ma se un uomo è un voto, a ogni voto è appeso il filo dei nostri destini e la scelta del meno peggio o del più ragionevol­e — Drummond cita anche Trump — non è sempre alla portata della maggioranz­a. Un bel problema, il grassone. Quando gli americani lanciarono le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, spiegarono al mondo che ammazzare tutta quella gente e in quel modo s’era reso necessario, per chiudere la Seconda guerra mondiale e impedire che ne morisse molta di più. Naturalmen­te, un giapponese tende a pensarla in modo diverso. E guarda un po’ le coincidenz­e della storia: la bomba sganciata su Nagasaki si chiamava Fat Man.

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