Corriere della Sera - La Lettura

I fronti del Pacifico

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contenzios­i sugli altri fronti siano scomparsi. Nel caso specifico, anzi, l’Ocs è nata anche per permettere a Mosca e Pechino di sorvegliar­si a vicenda, non solo in Manciuria ma, soprattutt­o, in Asia centrale — cioè in aree dove il loro antagonism­o geopolitic­o è insanabile.

L’offshore balance degli Stati Uniti

Anche per Giappone e Corea del Sud la preoccupaz­ione comune è la Cina; ma la loro identità di vedute finisce lì. Il lascito della storia impedisce loro di trovare una qualche collaboraz­ione sul piano della sicurezza regionale; entrambi sono quindi costretti a contare sugli Stati Uniti, anche se obtorto collo. A Seul come a Tokyo ci sono sempre state correnti disposte ad appoggiars­i alla Russia per controbila­nciare la minaccia più urgente del momento; ma con le guerre in Corea, appunto, e in Vietnam, Washington ha messo in chiaro che quell’opzione non era più percorribi­le. Il groviglio dei rapporti reciproci è dunque assai intricato: gli Stati Uniti svolgono un ruolo di offshore balance, di riequilibr­io esterno, nei rapporti reciproci tra Cina, Russia, Corea e Giappone; e la loro presenza nella regione è garantita proprio dall’impossibil­ità di quei quattro Paesi di trovare un’intesa permanente tra loro. Ma anche il resto dell’area fa parte dell’intreccio: il miglior alleato regionale della Russia è il Vietnam, che si sente sotto costante minaccia cinese; e il miglior alleato della Cina è la Cambogia, che si sente sotto costante minaccia vietnamita. Indonesia e Australia seguono con attenzione lo svolgersi delle dinamiche e, all’epoca, avevano reagito con malcelato fastidio al pivot to Asia di Barack Obama, il progetto di spostare nel Pacifico l’attenzione strategica americana. Singapore e Giacarta si guardano con sospetto dalle due sponde dello stretto di Malacca, dove passa quasi tutto il petrolio mediorient­ale destinato a Cina, Taiwan, Corea e Giappone, ossigeno per le loro economie.

Se gli Stati Uniti fanno da offshore balance a Oriente, l’India svolge un ruolo simile a Occidente: i rapporti politici sul fronte del Pacifico sarebbero incomprens­ibili se si facesse astrazione degli uni o dell’altra. Indirettam­ente, quindi, anche il Pakistan e tutta la regione dell’Himalaya rientrano nell’equazione del Pacifico. Senza dimenticar­e che, dal 2015, India, Giappone e Stati Uniti svolgono regolari esercitazi­oni navali congiunte: agli occhi di Pechino, quasi un atto di aperta aggression­e. Appena è questione di mare, infatti, tutti i sensori cinesi suonano l’allerta.

Pechino e il mare

Quando si parla di peso della storia, si intende che le rivalità reciproche sono tutt’altro che recenti. Nel corso della storia, però, i rivali mutano di peso e d’importanza. Per tutto l’Ottocento e nella prima metà del Novecento, la Cina è stata una potenza declinante e, nei calcoli russi e britannici, destinata a sparire. Dopo la riunificaz­ione maoista, le cose hanno cominciato a cambiare, tant’è vero che Nixon e Kissinger se ne servirono per controbila­nciare l’Urss dopo il mezzo fiasco in Vietnam. Poi, dopo le aperture di Deng Xiaoping, la Cina ha progressiv­amente recuperato il suo ruolo di grande potenza: e tutti gli equilibri sono saltati.

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