Corriere della Sera - La Lettura

Un disegno ritrovato svela che Rubens copiava

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Questa è la storia di un disegno affiorato da una collezione pr i va t a c he r a ppresenta l a metà di una Strage degli Innocenti; il dipinto, un quadro imponente, forse cinque metri di larghezza, era stato commission­ato da Giovanni Carlo Doria poco prima del 1604 a Giovanni Battista Paggi (1554-1627), pittore genovese bandito dalla città per omicidio nel 1581 e costretto a rifugiarsi a Pisa, poi a Firenze dove entra alla corte di Francesco I. Qui, dialogando con la «Maniera toscana», abiterà anche nella casa di Federico Zuccari e assumerà importanti commission­i; infine, nel 1590, con la protezione di Andrea Doria, torna a Genova e, per quasi dieci anni, lavora in Toscana e in Liguria. Sarà Giovanni Carlo Doria a commission­argli la Strage degli Innocenti. Il quadro però viene rubato dalla villa dei Doria nel 1980 e fatto a pezzi, forse per meglio smerciarlo: un frammento del dipinto si conserva adesso al Museo di Colle val d’Elsa.

L’opera è famosa, le dedica una canzone il poeta veneziano Giovanni Soranzo nel 1604, terminus ante per datare l’opera, e persino il Marino avrebbe dedicato il Madrigale sulla Strage al dipinto del Paggi prima di passare a celebrare la Strage degli Innocenti di Guido Reni, il dipinto in Galleria a Bologna. Il disegno (esposto a Wopart) ci fa toccare con mano le esperienze di Paggi: grande inquadratu­ra architetto­nica che fa pensare all’ultimo Raffaello delle Stanze Vaticane ma anche al Giulio Romano di Palazzo Te a Mantova: violenza dei gesti, accentuato michelangi­olismo delle figure, dunque viaggi a Firenze e Roma ma anche attenzioni al colorismo veneziano.

Il dipinto del Paggi è però importante per altre ragioni: è stato certo studiato da Pietro Paolo Rubens al tempo del suo viaggio in Italia, lo prova il quadro con la Strage ora alla Art Gallery of Ontario a Toronto. Rubens, nato nel 1577 in Westfalia dove, dalle Fiandre, si sono rifugiati i genitori, dopo aver sperimenta­to la pittura di paesaggio e il ritratto, decide di trasferirs­i in Italia: vi arriva nella primavera del 1600. Anche Rubens ammira Michelange­lo, quello delle cappelle medicee a Firenze ma anche il Giudizio della Sistina e si interessa a Raffaello ma pure a Correggio; Rubens del resto lavora per la corte dei Gonzaga a Mantova che è stata, dal 1524, quasi una succursale dell’officina raffaelles­ca.

A Genova è fitto il dialogo del pittore fiammingo con Giovanni Carlo Doria del quale dipinge nel 1606 un tizianesco ritratto equestre e, ancora, un grandioso Battesimo di Cristo, ora ad Anversa: qui il dialogo con Michelange­lo e Sebastiano del Piombo è evidente. Ma come spiegare il dialogo di Rubens col dipinto di Paggi? In Rubens le architettu­re del fondo evocano rovine romane e nascono da appunti, disegni ripresi dal vero, non, come nel disegno del Paggi, dai libri del Serlio. È evidente nel pittore fiammingo il tentativo, che era di Annibale Carracci, di mediare fra le diverse scuole: ecco dunque citati Giulio Romano e Michelange­lo, ecco i colori dei veneziani ma la struttura dei corpi cita le statue antiche. Insomma mentre a Bologna, nel 1611, Guido Reni, nella sua Strage degli innocenti, cerca il Sublime attraverso Raffaello, Rubens vuole una sua sintesi nuova andando oltre il grande dipinto del Paggi la cui metà perduta ora ci viene restituita dal disegno appena scoperto.

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