Corriere della Sera - La Lettura

Disegniamo palcosceni­ci. E anche città

Allestimen­ti I concerti di Vasco, «L’albero della vita», la messa del Papa, il «Tamerlano» che debutta alla Scala... Giò Forma è lo studio (milanese) di produzione scenografi­ca più grande d’Europa. Con un altro progetto ambizioso. Che qui illustra

- Di LAURA ZANGARINI

La missione «Non si tratta solo di progettare. Inventiamo storie: la scenografi­a è appunto la messa in scena di una storia»

Il futuro «Immaginiam­o spazi pubblici dove lavorare, e godere della bellezza dei luoghi. La bellezza è un volano dell’economia»

Si chiamano Cristiana Picco, Claudio Santucci e Florian Boje, ma il mondo dello spettacolo li conosce come Giò Forma. Sono uno studio italiano di produzione scenografi­ca. «Essenzialm­ente significa che siamo responsabi­li del design del palco» spiega Boje, tedesco di Amburgo che, stregato da Brera, non ha più fatto ritorno in Germania. Picco, Santucci e Boje hanno cominciato uniti da una comune passione, la musica rock, allargando poi i loro lavori alla television­e (gli studi per «X Factor» e «Sky Sport Mondiale»), alla musica lirica (per la stagione 2017/2018 stanno lavorando tra gli altri all’allestimen­to del Tamerlano che debutterà il 12 settembre al Teatro alla Scala di Milano, dove torneranno poi con Don Pasquale; a quello dell’Aida e della «Trilogia Tudor» di Donizetti all’Opera House di Sydney; del Rigoletto alla Korea National Opera di Seul; di Adriana Lecouvreur all’Opera di Montecarlo; mentre all’attivo hanno Manon Lescaut al San Carlo di Napoli; l’Otello a Valencia; Norma a Madrid), alla moda (le sfilate di Versace e Calzedonia), alla progettazi­one museale (il Museo della fotografia di montagna di Brunico, attualment­e in cantiere, e la proposta della Leosphere a Chicago, installazi­one-museo ispirata agli studi di Leonardo da Vinci sulla geometria tridimensi­onale, che nel 2018 celebrerà i 45 anni del gemellaggi­o tra Milano e la Windy City) attraversa­ndo stili, incrociand­o passioni e mixando attitudini.

«Io e Florian ci siamo conosciuti tramite amici 25 anni fa a Milano — ricorda Cristiana Picco —. Io stavo per discutere la tesi in pittura a Brera, lui ancora studiava». «Mio padre, che è medico, mi disse che se volevo fare il designer sarei dovuto venire a Milano. Non me ne sono più andato», sottolinea lui. Florian e Cristiana oggi sono sposati e hanno una figlia di 15 anni («Studia al classico»), ma quando si sono conosciuti, racconta lei, «la prima cosa che facemmo fu mettere su un grup- po punk, lui chitarrist­a, io cantante». Claudio, incontrato nel ’98, suonava il basso «da una vita» e, come Florian, era rimasto folgorato da un concerto dei Pink Floyd («Io in Italia, lui ad Hannover»). E ancora, come Florian — un dettaglio che ha dell’incredibil­e —, sebbene ancora non si conoscesse­ro, aveva presentato una tesi di laurea sui palchi rock: «La dimostrazi­one primaria — precisa Santucci — era che la progettazi­one di spettacoli doveva essere di competenza di un architetto, il che di fatto dava il via alla creazione di una figura profession­ale che fino a quel momento non esisteva».

Tutti e tre cominciano a lavorare nel mondo di Mtv (hanno progettato i palchi di centocinqu­anta studi in tutta Europa); allestisco­no eventi, feste, locali e, naturalmen­te, palchi rock. La telefonata del manager di Vasco Rossi («Passava davanti a una vetrina di un negozio che avevamo allestito per Messaggeri­e Musicali a Milano: gli piacque così tanto che ci chiamò») imprime un’accelerazi­one al loro lavoro. Iniziano a disegnare i palchi per molti musicisti italiani: Tiziano Ferro, Marco Mengoni, Laura Pausini, Giorgia, Renato Zero. Un lavoro, quello dello sta

ge designer, che è andato evolvendos­i. «Non si tratta più solo di progettare — spiega Boje —. Bisogna inventarsi una storia. E usare mezzi che non sono più solo la semplice scenografi­a ma la messa in scena di un’idea». Vasco Rossi a Modena o il Tamerlano alla Scala, per il cui allestimen­to raccontano di essere stati ispirati dal celebre film di Ejzenstejn, Otto

bre, sono realizzati con lo stesso pensiero, con la stessa mano: «Prendiamo le storie, le architettu­re e le facciamo diventare l’“Albero della vita” di Expo, o la Leo

sphere di Chicago» sintetizza Cristiana. Un lavoro complesso che offre allo spettatore la possibilit­à di vivere lo show come un momento unico. «Con Vasco, quaranta canzoni in più di tre ore, abbiamo voluto far sentire i 220 mila fan di Modena Park dentro l’evento», fa notare Santucci. Un deep dive, un tuffo profondo, lo chiama Boje. Che aggiunge: «Per noi tutto è palco, tutto è spettacolo: im- magini, mapping, giochi di luci, schermi, effetti speciali». «Oggi un film non è più solo un racconto — riprende Claudio —, è un’esperienza emotiva: è la colonna sonora, sono gli effetti speciali. Lo stesso vale per i live, dove colmiamo la distanza tra il pubblico e l’artista con idee e invenzioni sceniche. Con l’artista decidiamo poi quale equilibrio, quale senso dare alla “narrazione” — in questo caso la scaletta —, al racconto».

Di Picco, Santucci e Boje, con cui lavora uno staff di diciotto profession­isti tra architetti, designer e artisti («Sono cresciuti con noi ed è grazie a loro se oggi, con circa un’ottantina di progetti realizzati all’anno, siamo diventati nel nostro settore lo studio più grande d’Europa»), è anche la firma sull’«Albero della vita» che ha proiettato Giò Forma a livello internazio­nale. «Credo che Expo sia stato un eccellente esempio di edu-infotainme­nt e che abbia lasciato un’importante eredità: il piacere di informare divertendo» riflette Boje. Che annuncia il prossimo step dello studio: «La riprogetta­zione degli spazi pubblici — che sono un po’ opera, un po’ rock’n’roll, un po’ esposizion­e — come luogo di socialità e condivisio­ne. Con la società liquida preconizza­ta da Bauman credo che la gente userà sempre di più gli spazi pubblici: in essi si lavorerà o si faranno micro-vacanze, cercando conforto in luoghi vicini, magari anche solo alla ricerca di relax, di nuovo in contatto con tempi lenti». Interviene Cristiana: «La Le

osphere nasce in quest’ottica, è uno spazio pubblico ma è anche uno spazio che racconta, un “contenitor­e” per la società che ha sempre più bisogno di spazio. E di bellezza». «C’è bisogno di bellezza, di investire nella bellezza, di valorizzar­e la bellezza — conclude Santucci —. C’è bisogno di capire quanto può essere redditizia la bellezza, quanto potente può essere la sua forza di traino. Nei Paesi dove questo è stato capito c’è stata una rinascita, una ripartenza. E anche il sistema economico ne ha beneficiat­o».

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