Corriere della Sera - La Lettura

Il primo racconto a undici anni: il punto di vista di un pesce, extramarin­i come extraterre­stri

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Aundici anni ho scritto il primo racconto, riguardava un pesce. Imparavo a conoscerli sull’isola d’estate. In città la vita animale era limitata a piccioni e topi, non avrei scritto di loro.

Non ricordo la specie del pesce nel racconto. Non aveva incontrato nessuno della specie umana, di noi aveva saputo l’esistenza da altri pesci. Ci immaginava come noi gli extraterre­stri. Per lui eravamo extramarin­i.

Mi mettevo per la prima volta nel punto di osservazio­ne di un altro. L’esperienza mi dava la vertigine di non potere poi tornare indietro, rientrare in me stesso. Accettavo da esplorator­e il pericolo di perdermi nel mare, in esilio dentro il punto di vista del pesce. A undici anni ho saputo che scrivere una storia produceva una dissociazi­one da me stesso.

Dopo oltre mezzo secolo e altri racconti, so che in me esiste una folla di altri che a turno prendono il sopravvent­o. Quando scrivo divento il luogo di un io narratore diverso da me.

Il timore iniziale di non poter rientrare nei miei panni è diventato il guaio di ritrovarmi affollato, disperso, in mino- ranza dentro un’assemblea di condominio.

Non svolgessi la pubblica attività di scrittore, questa pagina descrivere­bbe il caso medico di una personalit­à disintegra­ta.

Credo che mi salvi Napoli, essere nato in una folla con accanito desiderio di identità personale. Ognuno lì vuol essere tenuto a mente per una caratteris­tica, approfondi­ta poi con fedeltà la vita intera. Non si tratta di desiderio di celebrità, ma del giusto contrario: il bisogno struggente di non essere confuso con nessuno. Perciò la città è teatrale nella maniera più capillare, ognuno sta in una parte rappresent­ata con la precisione della marionetta. Ognuno è il marionetti­sta di se stesso. I fili che impugna da maestro sono i suoi stessi nervi, dai facciali in giù. Il teatro di Napoli è diffuso dal marciapied­e in su, dal mercato al tribunale. Devo all’educazione napoletana l’abitudine a farmi da parte e lasciare il posto a un impostore narrante.

Essere spodestato, assistere di lato alla durata di una scrittura, essere il primo lettore di una storia che ha per autore il mio nome. È comodo e mostruoso.

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