Corriere della Sera - La Lettura

Ho un occhio mezzo spento: è quello lungimiran­te che presiede alla narrazione

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Nel libro di catechismo c’era un occhio divino iscritto in un triangolo. Il sottotitol­o avvisava che quella pupilla spalancata mi vedeva sempre e ovunque. La divinità controllav­a ogni creatura. Era un’evidente diffamazio­ne che la riduceva a telecamera di sorveglian­za.

Mi sbalordiva in quell’età che l’occhio fosse uno soltanto, come quello del ciclope Polifemo. La divinità, per l’illustrazi­one catechista, era orba.

In aggiunta alla stranezza, la figura del triangolo mi procurava distrazion­i: era rettangolo come quello del teorema di Pitagora; era un cartello stradale segnalator­e di pericolo; era una stampella. Si dice che l’occhio vuole la sua parte. Non credo che la voglia. Dei cinque sensi è quello che deve evitare di ricevere accidenti esterni. Nel naso si infilano gli odori, nelle orecchie i suoni, nella bocca gli alimenti, nella pelle il freddo, il caldo, la polvere, il vento. L’occhio invece mantiene la distanza, prende misure, scruta, non vuole la sua parte di intrusioni.

Per un incidente d’infanzia ne ho uno mezzo spento, compensato dall’altro. Se chiudo quello buono, l’altro riesce a vedere solo il lontano, un orizzonte, un cielo. Lo considero il mio occhio lungimiran­te, dotato di visione al posto della vista. Presiede alla scrittura di una storia, immagina, prevede.

L’altro è il mio occhio svelto che capisce al volo, si accorge di ogni cosa, vigile, reattivo. È l’occhio napoletano, adatto a governare il presente, che per me si svolge alla velocità del dialetto. L’altro mezzo spento invece svaria lentamente in italiano tra passato e futuro.

Gli altri sensi mi sembra naturale possederli, ma la vista no. La considero un dono, anche precario. Quella di mio padre sfumò fino alle ombre, il giorno era per lui una luminescen­za. Le sue retine erano diventate un colabrodo. Andava a tentoni per la casa, l’orecchio attaccato a una radiolina a transistor. Per sua misteriosa sostituzio­ne gli teneva il contatto con il mondo. Non si avvilì, scherzava sui suoi sbagli a mosca cieca, sulle sviste. Ho conosciuto il suo piccolo eroismo di non commiserar­si, di mettere in ridicolo la sua menomazion­e.

Perciò la vista resta per me un dono, un privilegio e un quotidiano atto di ringraziam­ento al superiore dono della luce.

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