Corriere della Sera - La Lettura

Non regge il mito dell’Ottocento «secolo pacifico»

- Di MARCELLO FLORES

Guerre Oggi i conflitti sono meno numerosi, come nella parte iniziale del Basso Medioevo

La visualizza­zione sulle guerre del passato e sui conflitti in corso mette chiarament­e in evidenza alcuni aspetti riassuntiv­i e generali, ma non può riuscire a evidenziar­ne altri che riguardano le tipologie dei conflitti e la loro intensità. Ciò che balza immediatam­ente alla luce è il carattere particolar­mente pacifico del periodo dal 1000 al 1200, e cioè circa la prima metà del Basso Medioevo; ma anche la parallela crescita dei conflitti e della globalizza­zione, tra le guerre di fine Settecento e inizio Ottocento e quelle attuali, pur se la globalizza­zione si manifesta con gran forza nel corso del «lungo» XIX secolo, entra in crisi e si blocca nell’epoca tra le due guerre mondiali e riprende successiva­mente con una brusca accelerata a partire dagli anni Ottanta del XX secolo.

Per lungo tempo, con uno sguardo eccessivam­ente eurocentri­co, si è parlato del XIX secolo come di un lungo periodo di pace, grosso modo tra il Congresso di Vienna e la Prima guerra mondiale, pur se non mancarono conflitti tra Stati (tra Francia e Prussia soprattutt­o) o conflitti che oggi chiameremm­o civili, come quelli delle rivoluzion­i del 1848 e della «primavera dei popoli» che contraddis­tinse il biennio successivo. Se però si guarda anche fuori dall’Europa, ci si accorge che di pacifico l’Ottocento non ha avuto molto, anche se solo poco più del 20 per cento dei suoi conflitti sono avvenuti in Europa, compresa la Russia. È nelle Americhe (quella meridional­e delle lotte per l’indipenden­za nazionale e quella settentrio­nale della guerra civile a metà secolo) e in Asia (India, Cina, Giappone, dove hanno luogo conflitti antimperia­li, ma anche interstata­li, come quelli ripetuti tra il Sol Levante e il Paese di Mezzo) che si ha il maggior numero di conflitti e anche di vittime. E non va comunque dimenticat­o che è proprio nell’Ottocento che prende avvio la svolta giuridica che introduce nel diritto internazio­nale il tema della guerra (il diritto umanitario, i crimini di guerra) e che si dà vita a quelle istituzion­i internazio­nali (la Croce Rossa) che avrebbero cercato di «umanizzare» per quanto possibile i conflitti armati.

L’aumento dei conflitti è stato, per rimanere nell’ultimo periodo storico esaminato dal diagramma, l’Ottocento e Novecento, fortemente legato alla disgregazi­one degli imperi e all’imporsi degli Stati nazionali: anche se è soprattutt­o dopo la Prima guerra mondiale che questo processo accelera a più riprese, visto che all’inizio del XX secolo oltre il 50 per cento della popolazion­e mondiale era governata dai

grandi imperi esistenti. Il rapporto diretto tra indipenden­za nazionale e guerra si sviluppa in un primo momento nell’America del Sud, successiva­mente in Asia e solo più tardi in Africa, anche se trova la sua conclusion­e nella dissoluzio­ne dell’Urss e della Jugoslavia, che vede, accanto ai nuovi Stati che ne emergono come eredi territoria­li, lo scoppio di numerosi e ripetuti conflitti armati.

Sono state naturalmen­te le due guerre mondiali, e in particolar modo la seconda, a far fare all’insieme dei conflitti un salto di qualità dal punto di vista del numero di Paesi coinvolti, della distruzion­e fisica dei territori, della quantità delle vittime e dell’intensità della violenza messa in atto. Ma è dopo il Secondo conflitto mon- diale che si accelera una tendenza già presente prima e cioè l’aumento delle guerre civili ( intrastate) rispetto a quelli tra Paesi diversi ( interstate). L’aumento impetuoso dei conflitti civili è legato al processo di decolonizz­azione e ai suoi esiti e, come si è già accennato, alla disintegra­zione del blocco comunista nelle sue diverse articolazi­oni. Dagli anni Settanta del XX secolo le guerre civili sono circa l’80 per cento e crescono ancora successiva­mente, anche se nel nuovo secolo sono scese a rappresent­are circa il 65 per cento delle guerre nel loro insieme. La tendenza si è manifestat­a in modo crescente fino al 1991 e poi si è fermata, con una diminuzion­e dei conflitti interni agli Stati.

Le guerre che sono state prese in consideraz­ione nel diagramma rispondono a requisiti e parametri che i principali istituti di ricerca hanno cer- cato di stabilire e di rendere omogenei o simili il più possibile. Uno di questi parametri consiste nel prendere in consideraz­ione un conflitto solo quando vi sono stati almeno mille morti in un anno. Questa scelta di individuaz­ione (inevitabil­e, anche se poteva essere diversa) esclude, ad esempio, dal novero dei conflitti del Novecento la guerra civile irlandese, sia nella sua manifestaz­ione nel corso degli anni Venti sia in quella che riesplode negli anni Settanta e trova soluzione solo negli anni Novanta. In questo modo, secondo le stime di gran parte degli studiosi, dal riconoscim­ento ufficiale delle guerre vengono espunti i cosiddetti conflitti a bassa intensità, che hanno, cioè, un numero di vittime inferiore a quello stabilito. In tal modo, però, non si riesce a prendere in consideraz­ione addirittur­a l’80 per cento dei conflitti degli ultimi ven- t’anni e il 70 per cento dei conflitti che si sono avuti tra il 1960 e il 1990.

Ugualmente problemati­co è calcolare il numero delle vittime: ed è su questo che si hanno le maggiori diversità tra gli istituti di ricerca. Col tempo, a partire dall’inizio del Novecento, è cresciuto proporzion­almente sempre di più il numero delle vittime civili dei conflitti (anche interstata­li) rispetto alle vittime militari: anche se in molti casi le vittime civili «indirette», quelle legate a carestie, malattie, ecc., non sono state prese in consideraz­ione (per esempio le vittime dell’influenza «spagnola» dopo la Prima guerra mondiale) mentre in altri casi sì (le carestie cinesi legate al Grande balzo in avanti o alla Rivoluzion­e culturale). Ultimament­e alcuni studiosi hanno parlato di «leggenda metropolit­ana» riguardo al fatto che il 90 per cento delle vittime dei conflitti attuali siano state e siano civili, rimarcando che è sempre meno facile operare una distinzion­e in passato certamente più semplice.

Negli ultimi vent’anni i dati permettono di concludere in modo abbastanza netto che è diminuito il numero delle guerre, si è affievolit­a la loro intensità ed è calato drasticame­nte il numero delle vittime coinvolte. Anche se emerge con altrettant­a nettezza un dato in controtend­enza: dopo la forte diminuzion­e delle spese militari tra il 1988 e il 1998, queste sono aumentate a ritmo crescente fino a oggi.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy