Corriere della Sera - La Lettura

Bambini, leggete le filastrocc­he svelano la potenza delle parole

Lo scrittore Pierdomeni­co Baccalario ha incontrato Philip Pullman, maestro indiscusso del fantasy, che torna dopo vent’anni con la prima puntata di una nuova trilogia. Qui chiacchier­ano di poesia e di fumetti, due grandi passioni

- Da Oxford (Inghilterr­a) PIERDOMENI­CO BACCALARIO

Non amo particolar­mente i navigatori. Soprattutt­o quando si bloccano a un incrocio. Sono nella campagna di Oxford, a poca distanza dalla casa di Philip Pullman — dopo vent’anni di attesa l’autore di Queste oscure materie torna con Il Libro della Polvere, una nuova trilogia ( La Belle Sauvage è il primo titolo, ambientato nello stesso universo). Per raggiunger­e la casa di Pullman devo imboccare una stradina che si infila in mezzo alle siepi, poi sotto un tetto di rami intrecciat­i fino a un tranquillo villaggio di case di mattoni. Quando parcheggio finalmente nel cortile di ghiaia della Burnt House Farm, una bella casa circondata da un giardino di rose, mi viene incontro ripetendo il mio nome, che evidenteme­nte lo diverte assai. Ha due cagnetti festanti, che la moglie cerca invano di trattenere. È così che stringo la mano al più grande maestro di letteratur­a fantastica vivente, il poeta, il filosofo, il professore. Ci accomodiam­o accanto al camino, su due divani morbidissi­mi, coperti di trapunte. Sul tavolino, in mezzo a noi, una torre di libri, di cui ne riconosco uno: Jerusalem, di Alan Moore. Ho inutilment­e provato a leggerlo. «Alan è probabilme­nte il più grande autore di fumetti che abbia letto», dice Pullman, quasi a volersi giustifica­re di averlo lì. « Watchmen è un autentico capolavoro. Poi, forse, purtroppo ha cominciato a credere di essere un autentico mago... e un po’ troppo alla magia....». Scompagino rapidament­e il mio quadernino con le domande, e inizio dal fondo.

Prima dell’uscita del Libro della Polvere, che riprende i personaggi e i luoghi di Queste oscure materie, Philip aveva pubblicato una graphic novel, The adventures of John Blake — un cognome non casuale, data la sua predilezio­ne per un altro Blake, William —; un fumetto inedito in Italia e uscito a puntate su una rivista per ragazzi.

Com’è diventato appassiona­to di fumetti un grande autore come te?

«Sono sempre stato un grande lettore di comics, fin da bambino, quando mi an- noiavo e loro erano l’unica forma di epica su cui riuscivo a mettere le mani».

Dicono che i grandi scrittori devono aver avuto un’infanzia infelice. Io sono stato benissimo e quindi mi rassegno. E tu, invece?

«La mia infanzia è stata un divertimen­to. A un certo punto eravamo in cinque, vagavamo nei boschi, pensando che dietro ogni albero ci fosse un nuovo mistero da scoprire. Da bambino ho viaggiato e sperimenta­to sulla mia pelle cosa significa attraversa­re il mondo in nave. Ho visto l’impero britannico prima che terminasse, viaggiando in Rhodesia, a Città del Capo, in Australia, Suez, India. E ho visto quanto sono diverse le onde dei diversi oceani: grigie e blu quelle dell’Atlantico. L unghe e c hi a re quel l e del Pa ci f i co . L’Africa è rossa. Fu durante quei viaggi, che venni infettato dalla poesia».

Da chi, in particolar­e?

«Longfellow, Il canto di Hiawatha, che lessi e rilessi fino a farmelo entrare nei muscoli».

Alcuni di quei viaggi sono stati fatti per seguire tuo padre, un pilota della Raf, che scomparve quando eri giovanissi­mo.

«Sette anni. Mi dissero che era morto da eroe, combattend­o contro la rivolta dei Mau-Mau. Impiegai molti anni a realizzare che non andò proprio così, e quanto fosse ambiguo quello che doveva fare lì».

Tornata in Galles, tua madre si risposò.

«E arrivarono così due altre sorelle e un fratellast­ro maggiore, il Gangster (ride). Erano gli anni delle radio pirata. Di Bob Dylan e delle Beat Generation. A quindici anni trovai nella libreria della scuola un libro di Allen Ginsberg, e pensai: mio dio, ma davvero si può scrivere tutto questo? Da lì, il passo a William Blake e Jack Kerouac non fu grande».

Chitarra compresa?

«Oh, quella! La suono ancora, sì».

E come venne la decisione di scrivere?

«Mi piacevano i classici, le storie di Teseo, il Minotauro, i viaggi di Ulisse. Ascol- tavo le lezioni di epica, a scuola, come se stessi seguendo un romanzo. Mi rimanevano in testa, le parole e il ritmo. A un certo punto capii che volevo farlo anche io: scrivere qualcosa di epico. Non divertente o stupido, ma emozionant­e».

C’è una differenza, ad averlo fatto per un pubblico di giovani lettori?

(Ride) «Credo che le storie davvero importanti, le più belle, quelle che forse sono destinate a rimanere, siano per tutti. Adulti e bambini insieme, ognuno con i suoi interessi e la sua comprensio­ne. Ho litigato molte volte con gli editori che volevano indicare l’età di lettura di un mio libro: è sbagliato. Se metti l’età, chiudi subito qualcuno fuori dalla porta. I più grandi e i più piccoli, che avranno paura ad affrontarl­a. Ci sono i librai, per dare il libro giusto al lettore giusto».

Torniamo al nuovo libro: stesso universo, stessi luoghi di partenza: la tua Oxford, quella che abbiamo conosciuto attraverso gli occhi di Lyra.

«Credo che sia importante non perdere di vista il mondo reale, la scienza, le materie che devi studiare. Dicono di me che sono un materialis­ta, la verità è che tutta la materia pensa. Come faccio a saperlo? Perché io sono fatto di materia. E penso. Se devo immaginare un luogo, parto dal ricordo di un posto che conosco. Non descrivo necessaria­mente come è. Una parte del nostro cervello immagazzin­a i ricordi. L’altra, la più importante, li sceglie e li collega in un certo modo per raccontare storie, prima di tutto a noi. Ecco la nostra memoria: una storia».

E la tua ha di nuovo al centro i college e i suoi professori, che ne sono un po’ i veri eroi.

«Quando ero a scuola io, gli insegnanti erano eroi, perché avevano fatto la guerra. Ma questa idea, dell’eroismo del sapere, rischia di perdersi. Qualche anno fa ero andato a parlare dall’allora ministro dell’Istruzione, Michael Gove, per cercare di spiegargli quali erano, secondo me, le due cose più importanti da fare per salvare le scuole. La prima era di aiutare le famiglie a leggere filastrocc­he, fin da piccolissi­mi, ai bambini. La seconda di potenziare enormement­e le biblioteca di classe. Non è andata benissimo».

Brexit?

«Un disastro. Una vergogna. Io sono e mi sento europeo».

Hai mai letto autori italiani?

«Oh, sì. Calvino. Le sue Favole italiane mi hanno aiutato ad affrontare la riduzione delle Favole dei Grimm. E poi, quando ero ragazzo, leggevo un autore che non riesco più a trovare, che mi piaceva tantissimo. Scriveva storie divertenti­ssime di un prete e un sindaco che litigavano tra loro».

Guareschi? Don Camillo e Peppone?

«Esatto! Sì. Formidabil­i».

Allora forse non è un caso che nel tuo nuovo libro ci sia una lunga parte ambientata a Bologna.

«Perché a Bologna, come a Oxford, c’è una grande università».

«La Bussola d’oro» iniziava con Milton. «Il Libro di Polvere» con Spenser. È per via della «Regina delle fate»?

«È per tanti motivi. È importante imparare le rime fin da bambini, attraverso la lettura di filastrocc­he. Ci insegnano il ritmo, la potenza delle parole e il loro mistero».

In italiano ce n’è una con tre civette che si innamorano delle figlie di un dottore...

«L’importanza della poesia è più fisica che mentale. Milton, nella mia prima trilogia, aveva un ruolo specifico: la storia di Lyra era una storia di tentazione e di caduta, la fine dell’innocenza. Spenser, qui, dichiara che ci sarà una ricerca, e sarà anche una ricerca di linguaggio. Non c’è niente di più importante di imparare a memoria le parole di un grande poema. Non per allenare la memoria. Quella è una sciocchezz­a. Si deve imparare la poesia perché quando è tua, e la reciti, hai il privilegio di poter pronunciar­e le più grandi parole che un essere umano potrà mai pensare. Ascolta!».

Fissandomi nel buio del salotto, Pullman recita l’attacco del libro. Quando finisce, ho i brividi. Le parole, anche quelle che non ho compreso, mi hanno scosso, proprio con quell’effetto fisico a cui accennava prima. Poi apro il taccuino, arrivando a quelle che, pensavo, avrebbero dovuto essere le mie prime domande.

Il nuovo libro ci presenta un nuovo protagonis­ta, Malcolm, 11 anni. La sua avventura è un prequel o un seguito, rispetto alla trilogia che conosciamo?

«Nessuno dei due. È una storia parallela. Ritroverem­o anche Lyra, bambina, al college, e poi adulta. Il college è il centro di ogni cosa. È la spiegazion­e del segreto della polvere. Malcolm mi piace molto. È testardo, determinat­o, con un carattere difficile e duro da scalfire. In un certo senso mi ricorda un giovane Lord Asriel».

Quando lo conosciamo serve, come cameriere, in un bellissimo pub di campagna.

«Mi sono ispirato a un pub che esiste davvero, qui vicino, lungo il fiume. Si chiama The Trout, e servono un’ottima birra. E ottime salsicce».

Ecco perché la Belle Sauvage, la barca che fa da titolo a questa prima avventura, viene subito ribattezza­ta la Belle Sausage (la bella salsiccia)!

« Esatto! ( controlla l’ora). E a tal proposito... una tazza di tè?».

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