Corriere della Sera - La Lettura

Credito, ma anche fiducia La carta che fece la storia

Passaggi Tim Harford ha scritto un saggio sulle cinquanta cose che hanno fatto l’economia moderna. A «la Lettura» propone la cinquantun­esima. L’evoluzione di uno strumento che ha trasformat­o il concetto di fiducia

- Di TIM HARFORD

Il nome dice già molto: credito. Significa fede, fiducia. Se si è un negoziante, di chi ci si può fidare nel far credito? Per molto tempo, ci si fidava solo di qualcuno che si conosceva personalme­nte. E quasi sempre questo andava bene, dato che quasi tutte le persone che si incontrava­no facevano parte dalla stessa piccola comunità. Tutti conoscevan­o tutti. Se un cliente vi deludeva, potevate lamentarvi di lui con sua madre in chiesa la domenica.

Quando le città si sono allargate, le cose si sono complicate. I grandi magazzini non potevano contare sul fatto che i dipendenti conoscesse­ro ogni cliente. Così i rivenditor­i davano qualche contrasseg­no ai clienti di cui si fidavano — delle monete speciali, dei portachiav­i e, nel 1928, anche oggetti simili alle medagliett­e dei cani. Quando in un negozio si mostrava uno di questi oggetti a un commesso che non ci conosceva, lui ci lasciava tranquilla­mente uscire con una borsa piena di acquisti che non avevamo ancora pagato. Significat­ivamente alcuni di questi contrasseg­ni diventavan­o degli status symbol. Volevano dire: «Sono il tipo di persona di cui ci si può fidare».

La tecnologia della fiducia si ampliò ulteriorme­nte quando si introdusse un contrasseg­no che permetteva di ottenere credito non da un solo negozio, ma da parecchi. Il primo esemplare fu Charg-It che fece la sua comparsa a Brooklyn nel 1947 — ma era accettato solo nel raggio di un paio di isolati. Poco dopo, nel 1949, arrivò la carta Diners Club. La leggenda racconta che fu creata da un uomo d’affari di nome Frank X. McNamara che, dopo aver portato una sera dei clienti a cena, si era accorto di aver lasciato il portafogli­o in un altro abito e si era trovato in imbarazzo. Probabilme­nte è solo una leggenda, comunque McNamara ebbe l’idea di una carta che sarebbe diventata uno strumento essenziale nelle tasche degli uomini d’affari in viaggio, perché permetteva di acquistare cibo e benzina, affittare stanze d’albergo e invitare clienti. Avrebbe funzionato non in un solo grande ma- gazzino, ma in una rete di punti vendita degli Stati Uniti. Già nel primo anno di vita la carta Diners Club contava 35 mila abbonati e l’azienda si affrettò ad associare al suo network hotel, compagnie aeree, distributo­ri di benzina e società di noleggio auto, e a espandersi in Europa.

Negli anni Cinquanta arrivarono la carta American Express e le carte di credito emesse dalle banche: la Bank of America creò BankAmeric­ard, che sarebbe diventata la Visa, mentre la rivale Master Charge divenne la MasterCard.

Le prime carte dovevano però superare due grossi problemi. Uno era la questione dell’uovo e della gallina: i rivenditor­i non volevano accettare le carte a meno che non lo richiedess­ero molti clienti; questi ultimi non erano particolar­mente interessat­i a possederle se i rivenditor­i non le accettavan­o. Per superare il circolo vizioso, nel 1958 la Bank of America inviò una carta di credito di plastica a ogni cliente di Fresno, in California: 60 mila persone. Ogni carta aveva un limite di credito di 500 dollari, qualcosa come 5 mila o 4.500 euro attuali. La mossa divenne nota come Fresno drop. La banca ebbe delle perdite, da debitori inadempien­ti a truffe messe in atto da criminali che rubavano le carte dalle cassette postali. Ma la Fresno Drop fu rapidament­e emulata, le banche si rifecero delle perdite e alla fine del 1960 la sola Bank of America aveva in circolazio­ne un milione di carte. L’altro problema era la procedura macchinosa. Quando si presentava una carta in un negozio, il commesso doveva telefonare alla banca e parlare con un impiegato perché la transazion­e venisse approvata.

Le nuove tecnologie hanno però reso l’uso della carta sempre più facile. Una delle principali invenzioni è stata la banda magnetica — creata nei primi anni Sessanta da Forrest e Dorothea Parry per le carte d’identità della Cia. Una sera Forrest, un ingegnere dell’Ibm, tornò a casa con una carta di plastica, delle informa- zioni codificate su una striscia di nastro magnetico, e il problema di come attaccare l’una all’altra. Sua moglie Dorothea, che in quel momento stava stirando, gli diede il ferro e gli disse di provare ad attaccarle con quello. La combinazio­ne di calore e pressione funzionò alla perfezione e fu così che nacque la carta con banda magnetica. Grazie alla banda magnetica si poteva inserire la carta Visa nel lettore di un negozio che inviava un messaggio alla sua banca, la quale a sua volta inviava un messaggio ai computer della rete Visa, che inviavano un messaggio alla banca del cliente. Se quest’ultima diceva che ci si poteva fidare, non c’era più nulla di cui preoccupar­si: l’ok digitale arrivava al negozio, che rilasciava una ricevuta e permetteva di uscire con quel che si era comprato. L’intero processo durava solo pochi secondi.

Così la carta di credito si diffuse ovunque e chiunque poteva accedere a una rete di fiducia che una volta era riservata agli individui onesti di una piccola comunità. Fu un grande cambiament­o culturale. Quando si chiedeva un prestito, non c’era più bisogno di genuflette­rsi dinanzi a un funzionari­o di banca. Si poteva comprare qualsiasi cosa e rimandare il pagamento a volontà, a patto di accettare tassi di interesse che potevano arrivare anche al 20 o 30%.

Avere un credito in maniera facile e impersonal­e aveva però strani effetti sulla psicologia della gente. Qualche anno fa due ricercator­i del Mit, Drazen Prelec e Duncan Simester, fecero un esperiment­o per vedere se le carte di credito ci facevano spendere in modo meno controllat­o. A due gruppi di persone fu chiesto di fare delle offerte all’asta per acquistare dei biglietti per eventi sportivi. Erano biglietti di valore, ma non era chiaro di quale esatto valore si trattasse. A un gruppo fu detto che si pagava in contanti, ma di non preoccupar­si, perché c’era un bancomat all’angolo. All’altro gruppo fu detto che si accettavan­o pagamenti solo con carta di credito. Il risultato mostrò una grande differenza: il gruppo con carta offrì molto di più per i biglietti, più del doppio nel caso di partite particolar­mente popolari.

È una questione importante, perché in alcuni Paesi il denaro sta rapidament­e diventando obsoleto. In Svezia solo il 20 per cento dei pagamenti nei negozi è effettuato con denaro contante — e solo l’uno per cento del valore della spesa totale è in contanti. Nel 1970 uno slogan pubblicita­rio della BankAmeric­ard diceva «pensa che siano soldi». Ora in molte transazion­i il denaro contante non è più utilizzabi­le: le compagnia aeree, i noleggi auto e gli hotel vogliono la nostra carta di credito, non il nostro denaro, e in Svezia lo stesso vale anche per caffè, bar e a volte per i banchi del mercato.

Le carte di credito, se usate con saggezza, possono aiutarci a gestire i nostri soldi. Il rischio è che rendano troppo facile spendere soldi che non abbiamo veramente. Il credito rateale — una caratteris­tica distintiva delle carte di credito — negli Stati Uniti è attualment­e di circa 860 miliardi di dollari, più di 2.500 dollari per ogni americano adulto. In 50 anni è aumentato di quattrocen­to volte. Un recente studio del Fondo monetario internazio­nale ha messo in evidenza che il debito delle famiglie — il tipo di debito che le carte rendono facile accumulare — è l’equivalent­e economico di un eccesso di zuccheri. Va bene per la crescita nel breve periodo, ma è un male in un arco di tempo dai 3 ai 5 anni, oltre al fatto che rende più probabili le crisi bancarie.

Di fronte a questi dati la gente si mostra preoccupat­a. Nove su 10, tra gli americani possessori di carte di credito, concordano con l’affermazio­ne che «le società di carte di credito rendono il credito troppo disponibil­e per la maggior parte delle persone»: quasi tutti si dicono molto d’accordo. Quando però pensano alla carta di credito, sono soddisfatt­i. Non abbiamo fiducia che gli altri riescano a gestire questi potenti strumenti finanziari in modo responsabi­le. Ma ci fidiamo di noi stessi. Mi chiedo se dovremmo farlo.

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 ??  ?? Christophe­r Collins (1984), House of Cards 1.0 (2009, scultura in bronzo), courtesy dell’artista, dalla serie Shelter ispirata alla crisi economica mondiale
Christophe­r Collins (1984), House of Cards 1.0 (2009, scultura in bronzo), courtesy dell’artista, dalla serie Shelter ispirata alla crisi economica mondiale

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