Corriere della Sera - La Lettura

Abbiamo dato i voti a tutti i presidenti Usa

Pagelle A un anno dall’elezione di Trump (8 novembre 2016, mentre l’insediamen­to avviene tradiziona­lmente il 20 gennaio successivo) e dopo la declassifi­cazione dei documenti sull’omicidio di JFK, proponiamo una rassegna dei presidenti degli Usa — quasi un

- Di TIZIANO BONAZZI con testi di HELMUT FAILONI e SERGIO ROMANO e con le illustrazi­oni di BEPPE GIACOBBE

George Washington (1789-1797)

Aristocrat­ico piantatore (proprietar­io di piantagion­e) virginiano, guidò l’esercito degli insorti nella guerra contro la Gran Bretagna, presiedett­e la Convenzion­e di Filadelfia del 1787 che scrisse la Costituzio­ne federale e all’unanimità venne eletto presidente nel 1788 e nel 1792. Padre della patria, è oggetto di riverenza sacra. Legato alle teorie settecente­sche avverse alle fazioni in quanto nemiche della libertà, governò al di sopra delle parti anche se il suo gabinetto si divise tra fautori e contrari alla Rivoluzion­e francese e a un governo centrale forte, aprendo la strada alla nascita dei partiti politici. Costruì il governo federale e, consapevol­e della debolezza americana, mantenne gli Usa neutrali nelle guerre seguite alla Rivoluzion­e francese; ma firmò un trattato commercial­e con la Gran Bretagna per riallaccia­re i vitali rapporti economici con l’impero inglese. Nel famoso «Messaggio di addio» alla nazione del 1796 pose l’accento sull’unità fra gli Stati e sulla necessità di evitare ogni coinvolgim­ento nella politica europea con la quale gli Stati Uniti non avevano interessi in comune. Voto: 10

John Adams (1797-1801)

Nato in Massachuse­tts, fu il principale leader rivoluzion­ario del New England. Nel 1782-83, assieme a Benjamin Franklin, negoziò la pace con la Gran Bretagna. Come vicepresid­ente ebbe rapporti burrascosi con Washington. Eletto presidente nel 1796, appoggiò la politica di rapido sviluppo economico di Alexander Hamilton, si avvicinò all’Inghilterr­a e osteggiò la Rivoluzion­e francese fino a giungere nel 1798 a una situazione di quasi-guerra con la Francia. In questa chiave fece approvare gli Alien and Sedition Acts, che inasprivan­o le norme per diventare cittadini e limitavano le possibilit­à di critica al governo. La dura opposizion­e di Jefferson e James Madison a leggi considerat­e pericolose per la libertà fece crollare la sua reputazion­e e aprì la strada alla presidenza di Jefferson. Voto: 7

Thomas Jefferson (1801-1809)

Nato nel 1743 in Virginia, piantatore e intellettu­ale, nel 1776 fu l’autore della Dichiarazi­one di indipenden­za che pose i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità come pilastri del nuovo Stato. Vicepresid­ente di John Adams, le sue posizioni filofrance­si li resero nemici. Venne eletto presidente nel 1800 e nel 1804 promuovend­o una visione politica basata sui diritti degli Stati e la centralità dei piccoli coltivator­i. Per sostenerla nel 1805 acquistò da Napoleone l’immensa area a ovest del Mississipp­i formalment­e francese. La sua fama è legata alla lotta ai potentati economici e all’ideale di una Repubblica di agricoltor­i proprietar­i. Nel 1807 proclamò l’embargo contro la Gran Bretagna che arruolava a forza cittadini americani nella flotta; una mossa azzardata che ebbe conseguenz­e economiche disastrose per un Paese che viveva di commercio atlantico. Antischiav­ista, pur non credendo nell’uguaglianz­a fra bianchi e neri, nel 1807 fu promotore della legge che abolì la tratta. Di recente la sua figura ha subito duri attacchi per la lunga relazione con una schiava da cui ebbe figli che liberò solo nel testamento. Con Washington fu il più grande fra i Padri fondatori, anche se la sua presidenza non è stata esente da critiche. Voto: 9

James Madison (1809-1817)

Fu l’ultimo Padre fondatore a diventare presidente, dopo essere stato il braccio destro di Jefferson, di cui fu segretario di Stato. Protagonis­ta della Convenzion­e di Filadelfia, è l’autore con Hamilton e John Jay dei Fede

ralist Papers, un classico del pensiero politico americano scritto a favore della ratifica della Costituzio­ne, in cui difese il pluralismo politico come fonte di libertà. Divenuto presidente nel 1808 e rieletto nel 1812, non fu all’altezza dei suoi precedenti risultati. Proseguì la politica jeffersoni­ana di espansione a ovest a spese dei nativi e nel 1812 dichiarò guerra alla Gran Bretagna per la sua politica contraria alla libertà di commercio e a quella dei mari. La guerra ebbe un andamento per lo più sfavorevol­e e si concluse nel 1815 con un compromess­o. Come presidente mutò le sue originarie posizioni economiche e scelse il protezioni­smo per difendere la nascente industria americana. Voto: 6

James Monroe (1817-1825)

Nato in una famiglia di piantatori virginiani, intraprese la carriera politica con Jefferson e fu segretario di Stato di Madison. Con la sua elezione a presidente nel 1816 ebbe inizio un periodo di pacificazi­one nazionale, l’«era dei buoni sentimenti». Durante i suoi due mandati Monroe intraprese una politica di opere pubbliche e gestì due spinosi problemi, la prima crisi economica della Repubblica nel 1819 e la disputa del 1820 sull’ammissione del Missouri come Stato schiavista, risolta con un compromess­o che vietò la schiavitù a nord del parallelo 36°30’. I suoi atti più noti furono il riconoscim­ento degli Stati sudamerica­ni nati dalla rivolta contro la Spagna e la cosiddetta «Dottrina Monroe», con cui gli Usa dichiarava­no la reciproca estraneità politica di America ed Europa. Nonostante i successi, la sua presidenza viene giudicata tradiziona­le e non innovativa. Voto: 7

John Quincy Adams (1825-1829)

Figlio del presidente John Adams, fu un abile diplomatic­o. Uscito dal Partito federalist­a di suo padre, passò con Jefferson e divenne segretario di Stato di Monroe e ispiratore della dottrina che ne porta il nome. Ultimo rappresent­ante dell’élite rivoluzion­aria, nel 1824 venne sfidato per la presidenza da Andrew Jackson. Nessuno dei due ottenne la maggioranz­a nel Collegio elettorale e la Camera dei rappresent­anti decise a favore di Adams. Come presidente inaugurò una politica protezioni­sta e di appoggio all’industrial­izzazione che lo mise in contrasto con i jeffersoni­ani radicali. Giudicato rappresent­ante delle vecchie classi aristocrat­iche, fu travolto dall’ondata democratic­a che portò al suffragio universale maschile e nel 1828 venne sconfitto da Jackson. Rimase, tuttavia, in politica come deputato, segnalando­si per il suo radicale antischiav­ismo. Voto: 6

Andrew Jackson (1829-1837)

Primo presidente non uscito dalle classi superiori, Jackson nacque nel 1767 sulla frontiera della Carolina del Nord. Nella Seconda guerra anglo-americana ottenne risonanti vittorie contro gli indiani Creek alleati dei britannici e nel 1815 a New Orleans contro questi ultimi. Divenuto un eroe nazionale, per sostenerlo nacque il Partito democratic­o, che lo portò alla presidenza nel 1828. Viene dipinto come il primo presidente populista per avere inaugurato il «sistema delle spoglie», che sostituì la burocrazia profession­ale con funzionari nominati dal partito vincitore alle elezioni, nonché per aver abolito la Seconda Banca degli Stati Uniti, in cui si concentrav­a il potere finanziari­o della nazione — una mossa molto popolare, ma che provocò il caos finanziari­o. Nazionalis­ta ed espansioni­sta, ordinò la deportazio­ne oltre il Mississipp­i degli indiani Cherokee e piegò la Carolina del Sud, che con la tesi della «nullificaz­ione» sosteneva di poter non applicare le leggi federali contrarie ai suoi interessi. Il giudizio su di lui ha oscillato nel tempo; ma fu senza dubbio autore della svolta democratic­a degli Stati Uniti. Voto: 8

Martin Van Buren (1837-1841)

Braccio destro di Jackson e suo vicepresid­ente, fu tra i creatori del Partito democratic­o. Abilissimo manovrator­e politico, subentrò a Jackson nel 1836. La sua presidenza fu segnata dalla crisi economica scoppiata nel 1837 come conseguenz­a della politica finanziari­a jacksonian­a, crisi che Van Buren non riuscì a risolvere e che impedì la sua rielezione nel 1840. Portò a termine la deportazio­ne dei Cherokee, costretti a una marcia forzata in cui morirono a migliaia, e fu molto cauto nella vicenda degli schiavi ribelli dell’Amistad (una nave negriera spagnola), sbarcati sulla costa americana che bisognava decidere se restituire ai proprietar­i. Il caso, in cui l’ex presidente John Quincy Adams difese con successo gli schiavi, ebbe una risonanza enorme; ma Van Buren si defilò per timore di uno scontro con la Spagna. Voto: 6

William Henry Harrison (1841)

Harrison, nato in Virginia, divenne un eroe nazionale per le vittorie contro gli indiani nella battaglia di Tippecanoe del 1811 e per quella contro gli inglesi nella battaglia del fiume Thames (Canada) del 1813. Senatore e diplomatic­o, vinse le elezioni del 1840 presentand­osi come uomo della frontiera, anche se era un piantatore. Aveva in programma di rafforzare il governo federale e sostenere l’industrial­izzazione ma morì di malattia dopo appena un mese. Voto: non valutabile

John Tyler (1841-1845)

Nato da un’importante famiglia virginiana, fu senatore del Partito democratic­o; ma in quanto radicale difensore degli Stati si scontrò con Jackson sulla «nullificaz­ione». Abbandonò poi i democratic­i avvicinand­osi al nazionalis­mo del partito Whig in campo economico. Vicepresid­ente di Harrison, fu il primo presidente non eletto. Sempre considerat­o un cane sciolto, cambiò molte volte linea politica. Fu un sostenitor­e dei diritti degli Stati e un espansioni­sta e a fine mandato approvò l’ingresso nell’Unione del Texas staccatosi dal Messico con la rivolta del 1836. Avversato da tutti, non si ricandidò nel 1844. Voto: 3

James Polk (1845-1849)

Nato in North Carolina da una famiglia modesta, fu un protetto di Jackson. Speaker della Camera dei rappresent­anti, ottenne la nomination democratic­a nel 1844, promettend­o di non ricandidar­si. Viene considerat­o l’ultimo importante presidente prima della Guerra civile per aver completato l’espansione continenta­le americana. Risolse, infatti, la disputa con la Gran Bretagna sul territorio dell’Oregon con un accordo che fissò il confine col Canada al 49° parallelo fino al Pacifico. Nel 1846 provocò la guerra con il Messico, una guerra di aggression­e condotta all’insegna del «destino manifesto» americano, la missione di portare la democrazia nel Sud Ovest contro i messicani incapaci di vivere liberi. La guerra si concluse nel 1848 con l’occupazion­e di Città del Messico e il trattato di Guadalupe Hidalgo: il Messico cedette la California e i territori dove sarebbero sorti Utah, New Mexico, Arizona e Colorado. Voto: 7

Zachary Taylor (1849-1850)

Figlio di piantatori virginiani, fu un militare di carriera vincitore, con il generale Winfield Scott, della guerra al Messico. In quanto eroe nazionale e nonostante il suo disinteres­se per la politica, il partito Whig lo scelse come candidato nel 1848 per la sua avversione alla politica bancaria di Jackson. Morto di malattia nel 1850, la sua breve presidenza fu segnata dalla crisi sull’apertura o meno dei territori conquistat­i alla schiavitù. Taylor si batté per rinviare la questione ma morì prima che la crisi raggiunges­se il culmine. Voto: 4

Millard Fillmore (1850-1853)

Nato da poveri agricoltor­i dello Stato di New York, fu un importante esponente dei Whig, il partito dell’industrial­izzazione. Vicepresid­ente con Zachary Taylor, gli subentrò quando questi morì. La sua presidenza fu caratteriz­zata dal Compromess­o del 1850 che risolse la disputa sulla schiavitù a ovest e che egli appoggiò, anche se non ne fu l’artefice, nonché dalla spedizione del commodoro Matthew C. Perry, che aprì il Giappone al

commercio con gli stranieri. Nonostante fosse un politico profession­ista, Fillmore venne messo in ombra dai grandi della sua epoca, come il suo segretario di Stato Daniel Webster, e nel 1852 non ottenne la nomination.

Voto: 2

Franklin Pierce (1853-1857)

Provenient­e dal New Hampshire, Pierce fu un leader regionale, non nazionale, e nel 1852 ottenne la nomination solo per lo stallo fra i candidati maggiori. La sua presidenza fu segnata dai sanguinosi scontri in Kansas fra pionieri schiavisti e non schiavisti dopo che il Kansas and Nebraska Act parve aprire le grandi pianure alla schiavitù. Pierce, pur volendo un compromess­o, non riuscì a gestire la situazione e si trovò nel ruolo di sostenitor­e della schiavitù. Ciò nonostante non ottenne l’appoggio dei democratic­i del Sud, che nel 1856 gli preferiron­o James Buchanan.

Voto: 1

James Buchanan (1857-1861)

Senatore della Pennsylvan­ia, fu un sostenitor­e di Jackson. Vicino alle posizione sudiste sulla schiavitù, vinse le presidenzi­ali del 1856 battendo il candidato del neonato Partito repubblica­no John Frémont. L’appoggio da lui dato alla schiavitù e alle leggi e alle sentenze della Corte Suprema che la garantivan­o lo hanno fatto ritenere uno dei responsabi­li del precipitar­e dello scontro tra Nord e Sud. Giudizio rafforzato dal suo atteggiame­nto negli ultimi mesi di presidenza, quando rifiutò di intervenir­e a fronte della secessione sudista.

Voto: 1

Abraham Lincoln (1861-1865)

Considerat­o il secondo Padre della patria americano, Lincoln nacque in Kentucky da una famiglia di pionieri. Poverissim­o, fece vari mestieri prima di dedicarsi alla politica. Fu fra i fondatori del Partito repubblica­no, che sosteneva l’industrial­izzazione del Paese e la chiusura dell’Ovest alla schiavitù. Nel 1860 ottenne la nomination come candidato di compromess­o e vinse perché il Partito democratic­o si divise fra tre candidati. Subito dopo la sua elezione gli Stati del Sud, che vedevano nei repubblica­ni una minaccia mortale, diedero il via alla secessione. Lincoln, convinto dell’assoluta necessità di far sopravvive­re l’Unione, rifiutò ogni compromess­o e guidò con fermezza la guerra che ne seguì. Nel 1863 con il proclama di emancipazi­one liberò gli schiavi, sia come misura bellica per indebolire il Sud, sia perché convinto che la schiavitù fosse contraria ai principi della nazione. Non credeva, però, nell’uguaglianz­a razziale e solo lentamente giunse alla conclusion­e che gli afroameric­ani potevano avere pieni diritti. In accordo con il programma repubblica­no, sostenne il progetto di rapida industrial­izzazione varato dal Congresso durante la guerra. Rieletto nel 1864, elaborò un piano per riportare il Sud nell’Unione a condizioni particolar­mente miti; ma il 15 aprile 1865 venne assassinat­o da un ardente sostenitor­e della Confederaz­ione, l’attore John W. Booth.

Voto: 10

Andrew Johnson (1865-1869)

Senatore democratic­o del Tennessee, venne scelto da Lincoln come vicepresid­ente nel 1864 in quanto unico senatore del Sud rimasto fedele all’Unione. La sua presidenza viene considerat­a fra le peggiori perché si oppose al 14° Emendament­o, che dava la cittadinan­za agli ex schiavi, e per la tolleranza nei confronti degli Stati del Sud che resistevan­o all’integrazio­ne razziale. Nel 1868 sfuggì per un voto all’impeachmen­t per aver violato una legge che gli vietava di silurare i ministri per ragioni politiche e non ottenne la nomination alle presidenzi­ali.

Voto: 2

Ulysses Grant (1869-1877)

Nato in Ohio, intraprese la carriera militare ma dovette dare le dimissioni per la sua propension­e al bere. Rientrato nell’esercito con la Guerra civile, divenne rapidament­e il miglior generale nordista e il suo contributo alla vittoria fu decisivo. Le porte della Casa Bianca gli si spalancaro­no nel 1868 e ancora quattro anni dopo in quanto eroe militare. A lungo considerat­o un cattivo presidente per la catena di scandali che coinvolser­o il suo governo e per non aver impedito le speculazio­ni finanziari­e che provocaron­o la crisi economica del 1873, è stato parzialmen­te rivalutato a causa del suo appoggio alla Ricostruzi­one, la politica federale volta a far accettare al Sud la presenza paritaria degli ex schiavi, e per aver smantellat­o il Ku Klux Klan.

Voto: 5

Rutherford B. Hayes (1877-1881)

Governator­e repubblica­no dell’Ohio, Hayes giunse alla presidenza nel 1876 dopo un’elezione contestata che lo vide opposto a Samuel Tilden. Repubblica­ni e democratic­i raggiunser­o un compromess­o in Congresso che gli diede la vittoria in cambio della fine dell’ap-

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