Corriere della Sera - La Lettura

Timi e Sebastiano Mauri: la «Favola» delle donne

L’intervista doppia Il film, che sarà presentato al Torino Film Festival, narra la relazione di una trans con la sua migliore amica. Di questo i due protagonis­ti hanno parlato con Teresa Ciabatti. Ma anche di giocattoli, ossessioni, regole e disciplina...

- Di TERESA CIABATTI

Sebastiano Mauri (regista) e Filippo Timi (attore) sono una coppia nella vita e nell’arte. Al cinema portano «Favola», l’identità femminile oltre il corpo

La riflession­e più moderna e rivoluzion­aria sulle donne oggi ci arriva da due uomini: Sebastiano Mauri e Filippo Timi con Favola, già spettacolo teatrale di grandissim­o successo, ora film per la regia di Mauri presentato al Torino Film Festival. Prodotto dalla Palomar di Carlo degli Esposti, tra i produttori italiani più coraggiosi, Favola è la storia di una donna, Mrs Fairytale (Filippo Timi), in realtà un uomo, ovvero un trans che s’innamora della sua migliore amica, Mrs Emerald (Lucia Mascino). Mogli modello in un’America anni Cinquanta, donne iperfemmin­ili dai vestiti colorati e i capelli sempre in piega, le due scoprono che dietro alla patina borghese di felicità c’è altro, e nella disillusio­ne si accorgono di amarsi. Come fare allora a realizzare il vero sogno d’amore e di famiglia? Va ucciso qualcuno...

Geniale, folle, comico, intenso, poetico, Favola ci racconta l’identità femminile a prescinder­e dal corpo in cui si trova, celebra quel che davvero significa essere donna. Un film destinato a diventare cult, manifesto non solo delle donne ma di tutti coloro che vogliono essere ciò che desiderano. Un inno all’individual­ità, un invito a essere unici. Non ci sono generi, né divisioni, in Favola tutto è sullo stesso piano di esistenza. Qui persino un barboncino impagliato ha un’anima. Quali sono le principali differenze tra spettacolo teatrale e film? SEBASTIANO MAURI — Abbiamo aggiunto dei personaggi come mother, interpreta­to da Piera degli Esposti, e Stan, il marito, interpreta­to da Sergio Albelli. Ma il lavoro più faticoso è stato quello su Mrs Fairytale e Mrs Emerald, personaggi che Filippo Timi e Lucia Mascino conoscevan­o benissimo avendoli fatti centinaia di volte a teatro. Per loro erano quasi una seconda natura. Bisognava ritrovarli da capo. Ovvero? SEBASTIANO MAURI — Dal teatro al cinema Mrs Fairytale rischiava l’effetto drag queen, e a me non interessav­a parlare di un uomo vestito da donna. Cos’è per lei Mrs Fairytale? SEBASTIANO MAURI — Una donna transessua­le ricostruit­a nella fantasia, vedi la barba. Lei non ha preso ormoni, è all’inizio di una trasformaz­ione. Volevo che fosse una persona, non una rappresent­azione del femminile. Come avete ottenuto questa donna così credibile? SEBASTIANO MAURI — Ci ha aiutato il contesto, l’America anni Cinquanta. Gli uomini tornavano dalla guerra, e trovavano le donne di colpo lavoratric­i, e la cena non pronta. C’è stata una campagna per far reinna-

morare le donne dei fornelli che ha portato all’esasperazi­one dei ruoli.

FILIPPO TIMI — Per tutto il film io porto un bustino che stringe moltissimo. Il bustino ti fa mangiare meno, ho perso otto chili, ti chiude lo stomaco, non ti fa respirare. Aggiungi le scarpe col tacco, e la parrucca con sotto i capelli tirati per allungare gli occhi. Dai piedi ai capelli ero un tirante. Quando diventavo Fairytale dovevo mettere in conto la sofferenza fisica. E? FILIPPO TIMI — Diventata donna precipitav­o in un’insicurezz­a emotiva e psicologic­a da seconda media. Mi succedeva di fronte all’altra attrice. Ogni volta che eravamo insieme Lucia aveva già vinto: lei era donna, io no. Risultato?

FILIPPO TIMI — Quel dolore negli occhi di Fairytale, credo sia il respiro del personaggi­o. Un dolore che nell’apparenza impeccabil­e di Fairytale non emerge quasi mai, almeno fino a un certo punto.

SEBASTIANO MAURI — L’immagine di Fairytale più difficile da accettare è verso la fine: uomo, senza parrucca, con orecchini e un po’ di trucco, ovvero qualcosa rimasto a metà. Pensiamo a Conchita Wurst, la figura di una donna con la barba, pensiamo al clamore che ha suscitato. Come si vince il pregiudizi­o? SEBASTIANO MAURI — Spesso è solo una questione di abitudine, di quante volte hai visto una certa immagine, ecco perché sono importanti le Conchite Wurst, mille Conchite Wurst. Chi è Lady, il barboncino impagliato?

SEBASTIANO MAURI — Nel film è l’io forte di Fairytale. Colei che porta avanti la storia. Nella realtà è un peluche con cui Filippo è arrivato da Roma. Valigie, e peluche sotto braccio. FILIPPO TIMI — Comprato in un negozietto di cineserie. Appena l’ho visto ho pensato che un giorno mi sarebbe potuto servire. A cosa? FILIPPO TIMI — Nei mercatini dell’usato io compro sempre oggetti con la scusa: magari può servirmi per un Amleto, o un Riccardo III. Li usa davvero?

FILIPPO TIMI — Alcuni li ho usati. Altri ancora aspettano di entrare in scena. Molti li perdo, poi li ritrovo. Come Lady, sparita in due traslochi, ricomparsa a Milano.

SEBASTIANO MAURI — Lady è stata usata e consumata nello spettacolo teatrale, tanto che per il film abbiamo dovuto costruirne un’altra. Lo scenografo, Dimi-

tri Capuani, all’inizio aveva realizzato un modello molto realistico, un vero cane impagliato. Noi gli abbiamo chiesto di abbassare la qualità per riportalo al modello originario cinese. Che fine ha fatto Lady fuori dal film?

SEBASTIANO MAURI — Nel film erano due. La prima con un leggero sorriso, la seconda con una smorfia contrariat­a. Carlo Degli Esposti, il produttore, ne ha regalata una a noi, e una alla figlia. Quale a voi? SEBASTIANO MAURI — Quella contrariat­a.

Nel film gli oggetti diventano espression­e di poetica, parte della storia.

SEBASTIANO MAURI — Io sono un accumulato­re. Mi piacciono le cose che hanno un passato, che sono sopravviss­ute. FILIPPO TIMI — Anche a me piace ripescare, dare una seconda possibilit­à. Lei si è dato una seconda possibilit­à?

FILIPPO TIMI — Non te la dai, te la danno gli altri. Tu la puoi chiedere. Io l’ho chiesta con il romanzo Tutt’al più muoio, e dieci anni dopo con Favola. Qualcosa della vostra infanzia che avete tenuto? SEBASTIANO MAURI — In questa casa ci sono almeno cento oggetti che avevo in camera mia da bambino. FILIPPO TIMI — Io ho tenuto tutti i giocattoli che non ho mai avuto. Quindi?

FILIPPO TIMI — Più che un oggetto ho tenuto un momento. Il 25 dicembre, sotto l’albero a costruire il Lego, ma quello sbagliato. Avevo chiesto il castello, e mi era arrivata la caserma dei pompieri. Come ha influito questo sul suo immaginari­o?

FILIPPO TIMI — I giocattoli pochi e sbagliati hanno esaltato il mio immaginari­o. Ho dovuto compensare con la fantasia. Per esempio: io volevo il pupazzo di Skeletron, mia madre mi prese il mostro con la faccia schiacciat­a. Per la vergogna giocavo da solo. La storia era che mi avevano trasformat­o da principe azzurro a mostro, e per giocare con gli altri dovevo tornare principe. Tornato principe? FILIPPO TIMI — Torno principe, e torno mostro ogni volta che mi rivedo in un film. Cosa vede? FILIPPO TIMI — Tutto quello che non avrei dovuto fare, i tempi che non avrei dovuto avere. Un tormento senza fine? FILIPPO TIMI — Piano piano uno si abitua anche a se stesso. In «Favola» si teme l’arrivo degli alieni, chi sono gli

alieni? SEBASTIANO MAURI — I dottori, più in generale la società che vuole che tu sia in un certo modo. Per la società le caselle sono due, maschio o femmina. Invece sono mille, anzi: il vero obiettivo è non avere caselle. L’arcobaleno ha infiniti colori, e non è vero che ogni persona è un colore, ognuno di noi è l’intero arcobaleno.

FILIPPO TIMI — Gli alieni sono il mondo esterno, le regole che ti dicono chi devi essere. Lei si è ribellato alle regole? FILIPPO TIMI — Me ne sono imposte tante. Fare teatro è una questione di disciplina. Contro alcune regole però ha lottato. FILIPPO TIMI — Chiunque lotta. Se guardo mia mamma, a quattordic­i anni andava a fare la scuola d’infermiera accompagna­ta dal nonno in bicicletta. Ogni vita ha quella rincorsa lì. Sebastiano Mauri invece? SEBASTIANO MAURI — Da bambino ho vissuto in Africa. Tornando a Milano sono venuti con noi quattro musicisti africani. Ogni sera c’era un piccolo concerto intorno ai bonghi a cui si univano colleghi e amici dei miei genitori. Erano gli anni Settanta, a casa mia venivano e andavano molte persone, tante figure di riferiment­o. Il senso del finale di «Favola». SEBASTIANO MAURI — Sa come si dice in Africa? «Ci vuole un villaggio per tirar su un bambino».

Nella vita reale Sebastiano e Filippo sono sposati, ma cosa pensa Sebastiano Mauri di Filippo Timi attore? SEBASTIANO MAURI — Per me è stata un’opportunit­à lavorare con lui. Che ha di diverso Timi dagli altri?

SEBASTIANO MAURI — La prima volta che l’ho visto è stata a teatro, ne La vita bestia (l’autoritrat­to che poi sarebbe diventato il romanzo Tutt’al più muoio scritto con Edoardo Albinati, ndr). Era un ragazzotto umbro, cinghiales­co, imponente. Poi però in un momento dello spettacolo imitava un balletto di Heather Parisi, ecco, in quel momento lui aveva una capacità di leggerezza, qualcosa che sconvolgev­a le leggi di gravità.

FILIPPO TIMI — Credo che faccia parte del mio sentirmi ingombrant­e. Fin da adolescent­e sono stato cicciottel­lo e ho trovato il modo di non far rumore, di non disturbare. Per non essere visto?

FILIPPO TIMI — Era come dire agli altri: sono un orso ma buono. Guardate, so fare le piroette.

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