Corriere della Sera - La Lettura

Così Damien Hirst smonta le sue statue kolossal

È ora di traslocare, per l’artista inglese. Le opere della mostra veneziana verranno disperse tra collezioni private e musei, la statua di 18 metri del «dio Pazuzu» sarà ripartita in 9 pezzi, mentre qualcosa è già stato venduto anche «solo» per 4 mila eur

- Di STEFANO BUCCI

Il tedesco Albert Oehlen non è uno sconosciut­o. Un bad boy dell’arte che ha sempre voluto giocare sull’effetto sorpresa e che lo ha fatto sempre con grande successo: il suo Müllflasch­e, olio su tela del 2004, è stato ad esempio venduto meno di dieci giorni fa da Sotheby’s New York per 1.026.382 euro, in pratica il doppio della quotazione di partenza. Eppure il suo prossimo compito si annuncia assai complesso, al pari della battaglia che verrà intrapresa, in contempora­nea, anche da Cindy Sherman, Maurizio Cattelan, Claude Cahun. Saranno infatti le loro opere a sostituire fisicament­e, dal prossimo aprile, Damien Hirst e il suo universo di angeli, demoni, sfingi, putti che sembrano Topolino, meduse degne di un film di Tarantino e altre creature sorprenden­ti, raccolto dallo scorso aprile a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana, le location veneziane di Treasures from the wreck of the unbelievab­le. Una mostra dei record (1.600 la media giornalier­a di biglietti staccati) o, almeno, quella di cui si è più parlato quest’anno.

È il momento di traslocare, per Damien Hirst. Ma da buon bad boy (inglese) non manifesta alcuna paura di essere smontato: «Certo, sono sempre triste quando chiude una mostra. È fisiologic­o, è normale — racconta a “la Lettura” seduto davanti al grande tavolo bianco della sala riunioni di Palazzo Grassi, giubbotto nero con borchie dorate e catena con tanti piccoli teschi — ma, al tempo stesso, vederla conclusa mi eccita, perché così quella mostra può entrare nella storia, nel mito. Può diventare immortale». E, con un tocco di sadismo, aggiunge: «Chi non ha visto le mie donne leone, le mie maschere di lupo, le mie conchiglie giganti a Venezia, da dicembre potrà soltanto immaginars­ele».

D’altra parte, la «dispersion­e» delle opere di Palazzo Grassi e Punta della Dogana è legata fin dalle origini all’idea stessa che ha fatto scaturire la mostra patrocinat­a dalla Fondazione Pinault: presentata come un’esposizion­e dell’immaginari­o tesoro di una nave d’età romana ritrovata e riportata a galla duemila anni dopo proprio da Hirst che, non a caso, si è voluto ritrarre in un busto di bronzo, nelle vesti del collezioni­sta. «Tutto quello che è stato esposto a Venezia è arrivato qui da un altro luogo e in un altro luogo è destinato a tornare, qui è stato messo insieme per la prima e forse ultima volta, poi tutto verrà ancora disperso. Niente di nuovo o di scandaloso: è quanto dovrebbe sempre accadere alle collezioni d’arte, create per essere raccolte, disperse e poi ancora ricostruit­e in un’altra parte del mondo, in un altro modo».

Certo, però, che per smontare questo Damien veneziano ci vorrà molto impegno. Anche fisico. E almeno quattro mesi di tempo: dal 3 dicembre all’8 aprile, quando apriranno la mostra di Oehlen (a Palazzo Grassi) e Dancing with myself (a Punta della Dogana con Sherman, Cattelan, Cahun e altri). Basterebbe pensare al Demon with bowl che con i suoi 18 metri di altezza ha di fatto occupato la corte interna di Palazzo Grassi (leggenda vuole che fosse stato calato dal tetto da un elicottero, in realtà ci è arrivato a pezzi), ipotetica raffiguraz­ione in resina dipinta del terribile dio Pazuzu: «Solo per smontarlo, oltre a una enorme gru, ci vorranno due settimane e 20 tecnici esterni oltre al normale staff del museo»,

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