Corriere della Sera - La Lettura
Un lieve ragliare accompagna il canto La passeggiata di Platero continua
Platero es pequeño, peludo, suave. Nell’edizione Passigli di Platero e io, in copertina c’era un delicato disegno di Filippo de Pisis, un asinello soave come Platero, «l’asino più famoso del Novecento» scrisse Carlo Bo, traduttore di questa pietrina preziosa di Ramon Jiménez (18811958, premio Nobel 1956). Premessa dell’autore: «È un piccolo libro dove allegria e tristezza sono gemelle come le orecchie di Platero». Il passeggiare di asino e poeta, come due Robert Walser invece di uno, attorno a loro non valli svizzere, ma un’incantata Andalusia; un quieto conversare con anche qualche duetto canoro (canto più lieve ragliare), con qualche merenda — Platero predilige mandarini, fichi neri e uva moscatella — e con qualche pisolino (qualcuno più in là sta cantando una ninna-nanna e Platero si addormenta come un bambino). «Ma ci saranno ancora gli asini a Moguer?», si domanda Bo nella prefazione. Andai a controllare, anzi addirittura a cercare la tomba di Platero «nell’orto della Piña, ai piedi del pino materno» («cercata tanto, forse trovata ma in rovina», appuntai); me la fotografai lo stesso, dopo averci scritto sopra a matita «Platero» con cinque punti interrogativi (meno improbabile, anzi più che certo, il monumento all’asinello, nella casa natale di Jiménez). Nella favola la sua morte giunge quando meno te l’aspetti, te la trovi di fronte all’improvviso, girando pagina, come nella vita. Giulio Nascimbeni (a proposito, a gennaio il decennale della scomparsa) nell’elzeviro per una ristampa scrive di aver letto in una sera di coprifuoco, luce fioca, «nessun barlume doveva filtrare attraverso le finestre», quelle risplendenti, abbaglianti pagine di luce andalusa.