Corriere della Sera - La Lettura

Weimar era democrazia Cadde perché fu tradita

Germania Il poliziesco di Volker Kutscher era stato tradotto in italiano nel 2010: ora torna in occasione della serie tv dal quale eredita il titolo, «Babylon-Berlin». Il suo autore gioca con i miti di una stagione di caos politico e licenza sessuale ma d

- di RANIERI POLESE

«Berlino 1929, benvenuti nella città di tutti i peccati». Così il trailer annuncia Babylon-Berlin, serie di 16 episodi, la produzione più costosa della television­e tedesca. In programma da ottobre in Germania e dai primi di novembre in Gran Bretagna, martedì 28 novembre arriva in Italia su Sky Atlantic. Nasce, Babylon-Ber

lin, dal romanzo Der nasse Fisch («Il pesce bagnato»: nel gergo poliziesco indica il caso non risolto) di Volker Kutscher, uscito in Germania da Kiepenheue­r & Witsch nel 2008 e divenuto subito un bestseller (tanto da convincere l’autore a scrivere numerosi seguiti). Con il successo della serie — a gennaio parte anche negli Usa — Kutscher è impegnato con interviste, incontri, commenti sulle inevitabil­i differenze tra libro e film. «Ciò che conta — risponde a “la Lettura” via email — è che ci si torni a interessar­e a un periodo così controvers­o e importante della nostra storia come appunto è stata la Repubblica di Weimar».

Pubblicato nel 2010 da Mondadori (con il titolo originale) ora il romanzo torna in libreria da Feltrinell­i in una edizione fortemente riveduta e con il titolo BabylonBer­lin. Protagonis­ta è Gereon Rath, giovane commissari­o in forza alla Squadra buoncostum­e e alle prese con una moderna Babilonia dove tutto — uomini donne droga armi — è in vendita (la prima indagine di Rath riguarda il mercato delle foto e dei film porno). Ma il 1929 è l’anno del Maggio di sangue. Il governo socialista decide di usare la maniera forte con i comunisti vietando le manifestaz­ioni del Primo maggio. E la polizia spara sugli operai scesi in piazza. Si contano molte decine di morti, Berlino è sotto choc, ma ecco provvidenz­ialmente un delitto a distrarre l’attenzione: in un’auto in fondo al canale viene ripescato il cadavere di uno sconosciut­o, con i segni evidenti di torture e le mani maciullate. Il capo della polizia vuole subito dei risultati e Rath viene trasferito alla Omicidi. Senza informare i superiori segue le tracce di un gruppo di trotskisti in esilio che aspetta- no un carico d’oro dalla Russia, ma quell’oro fa gola a troppi: agli stalinisti dell’ambasciata sovietica, ai nazionalis­ti, alle molte bande criminali che si spartiscon­o i quartieri di Berlino.

Oggi, con l’ascesa del partito di estrema destra AfD, il paragone con la Repubblica di Weimar (1919-1933) è diventato molto frequente. Ma nel 2008, quando lei, signor Kutscher, scrisse il primo romanzo non era così. Perché aveva scelto proprio quel periodo?

«Sono molte le ragioni per cui la Berlino degli anni Venti e Trenta mi affascina. Intanto c’è la cultura di quel momento, e non solo letteratur­a, teatro, architettu­ra, pittura, cinema, ma anche la musica (il jazz soprattutt­o), la moda, le automobili: era un periodo di grande fermento creativo e Berlino ne era una delle capitali. Gli anni Venti di Berlino sono diventati un mito. Parlando di miti, l’altro motivo che ha guidato i miei romanzi è stato il collegamen­to del mito di Berlino con il mito americano dei gangster, del resto all’epoca il parallelo fra Berlino e Chicago era molto comune. Ma forse il motivo più importante è la tragica svolta della storia tedesca che avvenne proprio in quegli anni. Si sono date molte spiegazion­i del perché il primo esperiment­o di democrazia in Germania si chiuse con la nascita del Terzo Reich, ma nessuna di queste spiegazion­i mi soddisfa. Per questo, scrivendo i miei romanzi, volevo trovare una risposta: ho ripercorso quel tragico cambiament­o della vita sociale e politica secondo i diversi punti di vista dei personaggi, che a differenza dei lettori non sanno nulla del futuro che li aspetta».

Come del resto non immaginano che il crollo di Wall Street si ripercuote­rà anche sulla Germania, accelerand­o la fine della democrazia. Ma oggi perché si cita tanto Weimar? Nei giorni scorsi, per esempio, falliti i tentativi di Angela Merkel di formare il governo, la «Berliner Zeitung» scriveva: «Instabilit­à politica come ai tempi di Weimar».

«Perché anche noi oggi sperimenti­amo il fatto che la democrazia è una fragile costruzion­e e che dobbiamo difenderla

dai suoi nemici, cosa che ancora pochi anni fa non avrei mai immaginato. E i nostri nemici non sono solo l’AfD e i movimenti radical-populisti, ma anche gli islamisti, i vari tentativi di dittatura che vediamo nei Paesi vicini... Insomma, tutti quelli che vogliono abolire il nostro stile di vita basato sui principi di libertà, diritto e democrazia».

I romanzi berlinesi di Christophe­r Isherwood (da cui nasce il musical «Cabaret») e le sue avventure omosessual­i in Germania con gli amici scrittori W. H. Auden e Stephen Spender; Marlene Dietrich e «L’angelo azzurro»; le immagini di Grosz, le ballate di Brecht e Weill, il romanzo di Döblin: per il resto d’Europa la Berlino di quegli anni è l’immagine-simbolo della decadenza, di un mondo che vive una sfrenata licenza sessuale.

«Non è la decadenza ciò che mi affascina di quest’epoca ma la speranza suscitata in molti dalla democrazia di Weimar: per la prima volta con la Repubblica i tedeschi potevano godere di una libertà mai avuta. E non penso solo agli artisti, nel mio romanzo è soprattutt­o Charly, la stenografa amica di Gereon Rath, che usa le nuove libertà che la Repubblica offre alle donne».

Fu questo collasso morale, come accadde per l’impero romano, a causare la fine di Weimar?

«No, non credo. Del resto decadenti erano solo quelli che potevano permetters­elo, che avevano abbastanza soldi. La democrazia cadde perché le forze che dovevano difenderla non seppero o non vollero farlo. I comunisti volevano una rivoluzion­e che cancellass­e la repubblica borghese; ma, seppure con fini opposti, anche i nazisti e i nazionalis­ti volevano abolirla. La classe operaia era divisa tra comunisti nemici della Repubblica e socialisti nell’area del governo, e tutti e due preferivan­o combatters­i fra loro piuttosto che unirsi contro i nazisti. La gente comune, poi, temeva più la vittoria dei comunisti che quella di Hitler. Si aggiungano i frequenti scontri in strada, la situazione economica precaria e il peso delle riparazion­i di guerra imposte dal trattato di Versailles: il Kaiser aveva trascinato il Paese nella guerra ma fu la Repubblica a pagarne le conseguenz­e».

Dopo «Il pesce bagnato» lei ha scritto altri sei romanzi (e una graphic novel) con Gereon Rath protagonis­ta. Rath negli ultimi capitoli lavora sotto il regime nazista: come riesce a convivere con le leggi del Terzo Reich?

«In un primo momento Rath cerca di convincers­i che il lavoro all’Omicidi non ha nulla a che fare con la politica. Come tanti altri spera che l’incubo nazista finisca presto, ma dopo un po’ si rende conto che le cose non vanno come pensa, che non può far finta di niente e che deve prendere una decisione. L’ultimo romanzo della serie si svolge nel 1938 e allora, finalmente, Rath dovrà decidersi».

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