Corriere della Sera - La Lettura
Casa Ruffini, la coscienza e il tormento
Il giurista, cultore della libertà religiosa, che rifiutò la sottomissione al fascismo
Buon sangue non mente. Ma l’ex ministro Francesco Ruffini, uno dei pochi professori universitari che nel 1931 rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo, si preoccupò non poco quando suo figlio Edoardo, avviato alla carriera accademica, decise di fare altrettanto. L’anziano docente di Diritto ecclesiastico, nato nel 1863 e vicino alla pensione, poteva lasciare l’insegnamento senza gravi conseguenze, ma per suo figlio la perdita della cattedra significava reinventarsi una professione. Edoardo ricordava il «tormento» del padre, che temeva di aver influenzato in modo determinante una scelta così arrischiata.
Il primato della coscienza era di casa nella famiglia del giurista piemontese, cui ora Andrea Frangioni ha dedicato l’ampia biografia intellettuale Francesco Ruffini (il Mulino): proprio la libertà religiosa fu l’asse portante dei suoi studi.
Agnostico e ostile al clericalismo, ma cultore e ammiratore di Alessandro Manzoni, Ruffini non apprezzava però la separazione tra Stato e Chiesa: né nella versione americana, tutt’altro che immune da storture confessionali al di sotto del livello federale, né in quella francese, segnata invece da un’impronta giacobina antireligiosa. Fautore di un «giurisdizionalismo liberale», riteneva un errore pretendere di ridurre la fede a un fatto privato, ma si preoccupava che le norme in materia di culti salvaguardassero la libertà individuale, come aveva fatto in Italia nel 1871, a suo avviso, la legge delle Guarentigie, volta a tutelare la Chiesa dopo la fine dello Stato pontificio.
Sostenitore dell’intervento nella Gran- de guerra, firma del «Corriere», aveva seguito lo stesso percorso di Luigi Albertini, passando dall’indulgenza all’aperta opposizione nei riguardi del fascismo. Così nel 1925 dovette lasciare un incarico importante alla Società delle Nazioni. A Torino nel 1928 fu contestato a lezione da giovani camicie nere e difeso dai suoi studenti, con tanto di tafferugli. Ma i guai di Ruffini sotto il regime sono abbastanza noti: mancava la ricerca organica sulle sue idee che Frangioni ha il merito di aver compiuto.