Corriere della Sera - La Lettura

Le folgori disegnano la mappa segreta di Roma

Esordi Antichi culti esoterici e contempora­neità: il protagonis­ta del testo di Matteo Trevisani si chiama Matteo Trevisani e si aggira in una città dove il sotto(terra) e il sopra, il mondo dei morti e il mondo dei vivi, comunicano in modi misteriosi

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Nasce sotto il segno di Summano, il dio dei fenomeni atmosferic­i notturni, dalle sembianze caprine, l’esordio narrativo di Matteo Trevisani, pubblicato da Atlantide, piccolo editore di qualità che stampa di ogni volume (dieci all’anno) 999 esemplari numerati e distribuit­i in librerie indipenden­ti. Un libro il cui filo conduttore è il mistero: una Roma orfica, dove il sotto( terra) e il sopra, il mondo dei vivi e il mondo dei morti, la capitale dalle strade piene di buche percorse in motorino dal protagonis­ta e l’Urbe antica, sono collegati da piccole porte spazio-temporali.

Lontano più da Romanzo criminale che da La grande bellezza a cui sembra accomunarl­o la luce notturna della fotografia, il libro di Trevisani (1986), marchigian­o di San Benedetto del Tronto, rivela che «Roma è una città fatta di carne, di ordini sparsi, di congiunzio­ni disordi- nate che acquistano un senso solo quando impari ad avere un punto di vista». Il suo è un occhio magico così come quello del protagonis­ta che si chiama come l’autore e fa il redattore di una piccola casa editrice che pubblica libri di spirituali­tà e filosofia. Matteo, trent’anni, è un flâ

neur che ama i musei abbandonat­i e le chiese senza più storia, i templi romani oblati e le scritte che si leggono sopra le mura della Domus Tiberiana. Un pomeriggio di settembre entra per caso nella chiesa «verticale» dei Santi Domenico e Sisto dove si sta celebrando una messa di guarigione e riceve un messaggio sul telefono da un numero sconosciut­o. È un invito a salire, l’indomani dopo il tramonto, sul Tabularium, la terrazza che dà sui Fori Imperiali. Da lì Matteo assisterà, confusamen­te, a un rito sotto le colonne del tempio dei Càstori, prima tappa di un vero e proprio viaggio iniziatico che lo condurrà tra rovine, visioni, espe- rienze extracorpo­ree fino a spiegare il senso dell’incipit: «L’anno della mia morte era iniziato bene».

Trevisani costruisce una specie di mistery dove lo stile controlla le digression­i erudite e l’esuberanza dell’intreccio che coinvolge una ragazza (Silvia), un vecchio professore, una antica biblioteca con un passaggio segreto, un bambino misterioso. La narrazione a volte ha un passo frettoloso e rischiereb­be di restare su due binari paralleli se Trevisani non avesse la capacità di dare corpo a un’atmosfera. L’autore prende spunto da luoghi reali e da tradizioni documentat­e che hanno a che fare con il culto dei fulmini, arrivato a Roma dagli etruschi che per primi «diedero a ogni loro tipologia il patrocinio di un dio diverso». Persino il mito della fondazione di Roma ha a che fare con questa evocazione: «Una volta stabilito il solco da Romolo, un fulmine colpì il braciere e da quella scaturigin­e ebbe vita il nuovo fuoco dell’Urbe». A poco a poco il culto si semplificò e i fulmini notturni vennero associati all’inferno e al sottosuolo, a Summano appunto.

Libro di fulmini è il titolo del romanzo di Trevisani, Libri fulgurales si chiamavano i tomi (in cui veniva riportato il significat­o degli avveniment­i e dei vaticini) custoditi nel tempio di Giove Capitolino e andati probabilme­nte distrutti da un incendio nell’83 a. C. Il fulmine che colpiva la terra era un segno funesto che apriva passaggi tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Per porre rimedio a questo sconvolgim­ento e ripristina­re l’ordine precedente, i sacerdoti celebravan­o una sorta di funerale, una cerimonia di riparazion­e, sotterrand­o le tracce del fulmine caduto con tutto ciò che esso aveva colpito, e mettendo sulla sepoltura una lastra di marmo con la scritta FCS, ovvero Fulgur Conditum Summanium, «qui il fulmine del dio Summano ha generato un solco». A Roma tutto quello che c’è di vero sta sottoterra, dice il protagonis­ta, ma è la mappa della superficie a dare le coordinate («il panorama che viene fuori da una mappa è la vita stessa»), come la genealogia delle famiglie dà la mappa del potere. Glielo spiega il professore: le famiglie obliate, apparentem­ente ai margini, diventano le api nere e praticano la magia, l’alchimia, le arti occulte e i loro membri diventano papi, scienziati, poeti.

Matteo inizia a cercare i posti colpiti dai fulmini nell’antica Roma: nei Fori, dentro Santa Bibiana, nella Domus Valerii, nei sotterrane­i tra Sant’Anastasia e il mitreo del Circo Massimo e via dicendo. Riconoscer­e ciò che è invisibile, perdersi nei segreti di Roma senza inabissars­i per sempre è il tentativo di Matteo ma diventa anche l’obiettivo del lettore. «Camminavo perduto per Roma come camminavo all’interno della mia vita, alla ricerca di qualcosa» . Libro dei fulmini è un romanzo di formazione millenaria che il protagonis­ta costruisce non guardando dentro di sé ma uscendo da se stesso, facendo spazio all’irrazional­e, lasciandos­i «abitare» da un’alterità non soltanto storica. La sua è un’archeologi­a del sapere che fonde l’antichità con la contempora­neità, svicolando, con saggezza, da ogni tentazione metaforica. Il passato non è lo specchio, deformato, del presente; i suoi remoti fantasmi non tornano per incarnare vizi e virtù della capitale di oggi ma per riproporre le più antiche domande della filosofia.

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