Corriere della Sera - La Lettura

La creazione dello spazio Lorenzetti in prospettiv­a

Aveva ragione Ghiberti nel XV secolo: Ambrogio era «altrimenti dotto»; e aveva ragione Panofsky nel 1927: le linee del pavimento convergono. Una mostra a Siena celebra un pittore che dialoga con il suo tempo e poi lo rivoluzion­a

- Da Siena ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Immaginiam­oci Siena fra primo e secondo decennio del Trecento. La Maestà di Duccio di Buoninsegn­a nel 1311 viene portata in procession­e al Duomo davanti a tutta la città; Simone Martini nel 1315 affresca la sua Maestà nella sala del Palazzo Pubblico; sempre a Siena sono forti gli echi della scultura, di Nicola e di Giovanni Pisano, tanto attenti, ambedue, alla scultura gotica di Francia. Un giovane pittore, Ambrogio Lorenzetti, nato forse attorno al 1290 e morto, si suppone di peste, nel 1348, a chi guarda? Nella splendida mostra di Siena, a Santa Maria della Scala, le origini sono delineate: dialogo con Duccio, con Simone Martini, ma certo anche con il fratello Pietro, di dieci anni più vecchio e attento a Giotto a Firenze, come prova un impression­ante Crocifisso del Museo diocesano di Cortona, la figura scontornat­a, che si data attorno al 1315-20.

È del 1319 la prima opera datata di Lorenzetti, la Madonna di San Casciano in val di Pesa, dove la forza dei volumi determina uno spazio, quello del trono intarsiato, quello del Bambino che sporge come un pezzo scolpito rispetto al corpo della madre, tanto da far pensare che Ambrogio abbia meditato su Arnolfo anche a Roma, sul Presepe di Santa Maria Maggiore dove i volumi, le forme delle figure, lo spazio sono confrontab­ili. Lorenzo Ghiberti, nei suoi Commentari, scritti attorno alla metà del XV secolo, dà largo spazio ad Ambrogio Lorenzetti che considera un raffinato narratore e definisce «dotto» e ancora «perfettiss­imo maestro, uomo di grande ingegno... nobilissim­o disegnator­e... molto perito nella teorica di detta arte».

Ecco, forse sono da chiarire proprio queste parole. Narratore dunque: ed ecco il ciclo degli affreschi della Sala del capitolo di San Francesco a Siena dove Pietro e Ambrogio operano fianco a fianco (1320-1325), Pietro con la sua forte tensione espressiva come nella Crocifissi­one che dialoga con l’ultimo Giotto, Ambrogio che, nella Profession­e pubblica di San Ludovico di Tolosa, punta sulla analisi degli spazi con un primo piano di figure viste di schiena e, sopra, intrecciat­e prospettiv­e di colonne, di volte, di archi trasversi mentre, nel Martirio dei frati francescan­i propone la scena davanti a una architettu­ra gotica tripartita che calibra lo spazio. Sono due Croci a farci capire le scelte di Ambrogio: la prima, di Montenero d’Orcia (1325), evoca il Crocifisso di Giotto a Ognissanti a Firenze (1315) ma con un assottigli­arsi delle forme, una accentuata trasparenz­a del perizoma che cita le raffinate stesure di Simone Martini. L’altra croce (1330 circa) ora alla Pinacoteca di Siena, fortemente danneggiat­a ma ancora densa di tensione espressiva, suggerisce la conoscenza della scultura di metà del XIII secolo nell’Île-de-France.

L’attenzione per l’architettu­ra e la sua rappresent­azione, l’idea che le figure dipinte siano da proporre nello spazio, che debbano avere un preciso volume, attraversa tutto il percorso di Ambrogio e appare in grande evidenza negli affreschi della chiesa di San Galgano a Montesiepi che si datano fra 1334 e 1336. Così dunque, nella lunetta della Cappella con la Madonna col Bambino in trono, le figure sono disposte su livelli diversi in uno spazio misurato mentre davanti, distesa, una plastica Eva dalla lunga treccia evoca Nicola Pisano e Arnolfo del Fonte di Perugia (1277-1281). Ma è forse l’Annunciazi­one a intrigarci: l’Angelo e la Madonna sono concepiti in uno spazio unitario, ma separati dalla luce di una finestra pensata come arco di trionfo; l’idea di Ambrogio è scandire le figure sui riquadri di marmo suggerendo un diverso racconto: la Madonna che si aggrappa alla colonna spaventata dalle parole dell’Angelo. E qui giustament­e Max Seidel e Serena Cala- mai propongono un nesso con i laudari toscani: «La vergene paurosa,/ quando l’angelo udio parlare,/ era onesta e vergognosa,/ incomençò tutta a tremare». Insomma dipingere vuol dire dialogare col teatro, mettere in scena, costruire nello spazio. Ma vuol dire anche inventare e, proprio per queste figure, due grandi disegni a sanguigna sul muro ci fanno capire come Ambrogio lavorava: in quello della Madonna ecco il manto teso di pieghe, il volto per metà in ombra, ma l’affresco fifinale non coinciderà con il disegno.segno.

Dunque Ambrogio costruisce nello spazio un rracconto, non usa una sinopia, cioè un disegnodis in scala, si mantiene liberobero di mutare,mu dipingendo, la posizione delle figure.figure In questo stesso ciclo di affreschif­reschi una veduta di Roma ci fa capire che AmbroAmbro­gio, a Roma, deve avere disegnatig­nati moltim monumenti, certo quelli anticantic­hi ma anche San Pietro, Castel SantSant’Angelo e altro ancora. FrFra 1338 e 1339 Ambrogio dipingege il ciclo del Buon Governo (con le sue Allegorie e i suoi Effetti del buono e del cattivo governogo in città e in campagna) per la Sala dei Nove al Palazzo PubblicoPu­b di Siena, tappa irrinuncia­bilecia per chi visita la mostra: qui il pittore rappresent­a lo spazio reale e quelloqu ideale insieme, gli effetti del governareg­overna sulla città e il territorio e lo spazio idealeidea distinto dalla dimensione delle figure:figure da una parte Pace, Giustizia, Temperanza,Temperanz Magnanimit­à; dall’altra gli uomini e le donne, i cittadini. Ambrogio realizza anchean un mappamondo per le sale del Comune,Co estendendo a una dimensione­mensione cosmicac il simbolo del potere e la funzione stessa della pittura.

Resta da capire come mai Ghiberti definissef­inisse AmbrogioAm «molto perito nella teoricaori­ca di dettadet arte». Cosa è dunque la teoriaria della pitturapi se non la prospettiv­a? E mentre nelne San Michele e il drago di Asciano (1337)13 Ambrogio scandisce i pianini della figurafig con le spire del serpente, nella imponentei­mpo Annunciazi­one della Pinacoteca­nacoteca NazionaleN di Siena (1344) raggiungeg­iunge un diverso risultato. Per la prima volta nella storia della pittura, e lo aveva capito ErwinErw Panofsky fin dal 1927, le lineenee del pavimentop­av a scacchiera convergono­gono verso un unico punto e la Madonna e l’Arcangelol’Arcange si incontrano in uno spazio unitario, formefo plastiche senza eguali in pittura in questiq anni.

AmbrogioAm­brog ha impiegato 25 anni per giungere a questo traguardo, quasi un secolocolo dopo di lui Brunellesc­hi, Alberti, Donatello e tutti gli altri costruiran­no figuregure nello spazio. Aveva ragione Ghiberti:ti: AmbrogioAm­brogi era davvero «altrimenti dottoto che nessunones­s degli altri».

 ??  ?? L’appuntamen­to Ambrogio Lorenzetti,
a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel, Siena, Santa Maria della Scala, fino al 21 gennaio (Info Tel 0577 28 63 00; santamaria dellascala.com), catalogo Silvana Editoriale (pp. 512, € 39)....
L’appuntamen­to Ambrogio Lorenzetti, a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel, Siena, Santa Maria della Scala, fino al 21 gennaio (Info Tel 0577 28 63 00; santamaria dellascala.com), catalogo Silvana Editoriale (pp. 512, € 39)....
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