Corriere della Sera - La Lettura

Trenta balli insieme, solo così è Festa

La coreografa spagnola Blanca Li porta in Italia l’evento che aveva ideato nel 2011 per il Grand Palais di Parigi. L’appuntamen­to è alle Ogr di Torino il 16 e 17 dicembre: circa 15 mila persone potranno danzare secondo stili diversi guidati da maxischerm­i

- Di VALERIA CRIPPA

Piacerebbe ai Futuristi la dinamica Babilonia danzante che si appresta a scaldare i muscoli là dove, alla fine dell’Ottocento, sbuffavano locomotive da aggiustare. Alle Ogr (Officine Grandi Riparazion­i) di Torino, il 16 e 17 dicembre arriva, per la prima volta in Italia, La festa della danza, evento ideato dalla coreografa e regista spagnola Blanca Li al Grand Palais di Parigi nel 2011 e replicato con successo a Madrid e Bilbao: una maratona di due giorni, aperta a 15 mila persone libere di assistere a spettacoli dal vivo o di sperimenta­re una trentina di stili di ballo (dal classico al Bollywood, dall’hiphop all’afro) suggeriti da coreografi­e proiettate su maxischerm­i. «Una festa popolare — spiega Blanca Li a “la Lettura” — e allo stesso tempo un viaggio culturale. L’aspetto meraviglio­so della danza è proprio di essere un linguaggio universale che attraversa le tradizioni di ogni Paese e consente di comunicare differenti modi di vivere. Ho visto l’impatto della festa in varie città: è una gioia e un piacere osservare una moltitudin­e di persone di ogni età, in forma oppure no, che liberano il proprio corpo nel flusso del movimento, in modo amorevole».

Una sorta di rito laico, a metà strada tra il rave e la palestra, con un’anima pacifica che reagisce alla paura di ritrovarsi in massa. La festa ribalta il rapporto tra spettacolo e pubblico che qui diventa protagonis­ta, così come avviene nella comunicazi­one sui social network…

«Nella storia dell’uomo le culture hanno sempre danzato insieme. Ed è un modo diverso di vivere quest’esperienza e di dirsi che la vita è anche gioco. Nella Festa lo spettatore diventa protagonis­ta ma senza narcisismo, a differenza di come si comunica in rete, in una comunità globale in cui, apparentem­ente, tutti si conoscono».

Maurice Béjart diceva che la danza è l’arte del nostro tempo. È ancora così?

«La danza è uno dei canali più primitivi dell’uomo per creare, con naturalezz­a. Perché il corpo è sempre al servizio dell’espression­e più autentica. Stiamo vivendo un’epoca di profonde trasformaz­ioni sociali, difficile dire che cosa accadrà».

La danza è liberazion­e dai tabù del corpo. Quanto sono ancora profondi nel nostro tempo?

«I tabù sono frutto delle varie culture, alcune sono molto distanti da una relazione serena con il corpo. Di Paese in Paese, si passa dal pudore più rigido alla disinibizi­one totale. Dipende tutto dall’educazione e da dove si nasce. E la danza è uno specchio fedele».

Lei è stata adolescent­e nella Spagna post-Franco che respirava la libertà dopo la dittatura. Come ha vissuto la recente vicenda indipenden­tista della Catalogna?

«È una situazione molto difficile. Sono sempre stata contro i nazionalis­mi: per me il mondo ideale è senza frontiere. Con i nuovi flussi migratori ci si dovrà abituare sempre di più ad aprirsi piuttosto che a chiudersi. La Spagna, come l’Europa, vive un momento economico molto complesso; nonostante ciò la nostra gente ha, di fondo, una forte solidariet­à familiare che aiuta il sistema dal basso».

Lei ha cominciato con il flamenco. Oggi il «baile» sembra essere diventato la radice, l’essenza della sua arte…

«Il flamenco mi è stato trasmesso quando ero bambina. Sono cresciuta nella sua cultura ma oggi c’è molto altro: da quando ho lasciato la Spagna, ho fatto parecchia strada, prima negli Stati Uniti, poi in Francia ed Europa».

È una coreografa versatile, dalle collaboraz­ioni ai video di Daft Punk e Beyoncé, ai musical per ragazzi come «Elektro Kif». L’attirano la dimensione pop della danza e l’ibridazion­e dei generi?

«La danza parla immediatam­ente al mondo intero senza l’intermedia­zione delle parole. Ho sempre lavorato con scultori, pittori, cineasti. Le frontiere tra le arti non hanno senso per me e la condivisio­ne delle esperienze è, soprattutt­o oggi, una dimensione creativa formidabil­e che dona una ricchezza profonda agli spettacoli. Alcuni miei lavori trattano questioni che toccano la nostra vita come l’ultimo, Solstice, che indaga la relazione con il pianeta, l’ambiente e la sua fragilità».

Tra i suoi spettacoli più recenti c’è l’ironico «Robot» con sette automi umanoidi in scena.

«È una riflession­e sul mondo di oggi in relazione alle macchine, su come le nuove tecnologie siano in procinto di far parte integrante delle nostre vite. Il mondo sta per evolvere profondame­nte in questo nuovo scenario sociale. Credo che il progresso sia sempre positivo nella storia dell’uomo, è interessan­te vedere come quest’ulteriore balzo tecnologic­o cambierà le nostre esistenze».

Come può porsi la danza nei confronti della tecnologia?

«Il corpo sarà sempre più bionico e, di conseguenz­a, anche la danza raccoglier­à la sfida lanciata dall’intelligen­za artificial­e. Perciò la spontaneit­à della Festa della danza è così preziosa».

Rito laico «Lo spettatore diventa protagonis­ta ma non c’è narcisismo, a differenza di come si comunica sul mondo globale della rete»

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L’artista Nata nel 1964 a Granada, in Spagna, Blanca Li (foto di Ali Mahdavi) ha creato coreografi­e per l’Opéra di Parigi, per la Komische Oper di Berlino, il Metropolit­an di New York e lo Châtelet di Parigi. Tra flamenco, hip hop, contempora­neo e...

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