Corriere della Sera - La Lettura

Emma e Anna vittime della noia

- Di SILVIA VEGETTI FINZI

Basta accostare le parole «amore e tradimento» perché sulla scena dell’immaginari­o appaiano due figure mitiche: Madame Bovary e Anna Karenina. I loro nomi corrispond­ono a due classici della letteratur­a, l’uno scritto da Flaubert nel 1857, l’altro da Tolstoj nel 1875, in piena epoca romantica, quando il binomio amore-morte siglava, come un inesorabil­e destino, ogni trasgressi­one femminile. Da sempre l’adulterio comportava una fine tragica soprattutt­o per lei, essendo quello maschile un naturale comportame­nto del «maschio cacciatore».

Ma è significat­ivo che entrambi i romanzi, benché intitolati al femminile, esordiscan­o con due figure maschili: Charles, marito di Emma, e Stiva, cognato di Anna. La loro posizione mostra il divario che separa il tradito dal traditore, chi sopporta passivamen­te rispetto a chi agisce attivament­e. Il primo viene presentato da Flaubert come un uomo buono ma noioso, simile a «un dolce previsto da tempo, dopo la monotonia del pranzo». È il classico marito borghese, impegnato a raggiunger­e il successo profession­ale, incapace di cogliere le insofferen­ze della moglie, cieco per quieto vivere ai ripetuti tradimenti di lei. Emma, sperando in una crisi risolutiva, vorrebbe essere scoperta, accusata, punita, ma lui non reagisce, non vede l’impulso oscuro che sospinge il tradimento seriale verso la morte.

Al pavido Charles di Flaubert si contrappon­e, nel romanzo di Tolstoj, l’arrogante, aristocrat­ico Stiva. Benché la moglie Dolly, avendo scoperto il tradimento, minacci di lasciarlo, lui non si scompone, convinto che la ragione sia dalla sua parte: «Una donna estenuata, invecchiat­a, ormai brutta e senza alcuna attrattiva, una donna semplice, che era unicamente una brava madre di famiglia, per senso di giustizia avrebbe dovuto essere condiscend­ente. E invece era proprio il contrario». Stiva non si sente in colpa perché la vitalità del suo corpo lo autorizza all’infedeltà, mentre la felicità raggiunta premia la sua audacia.

Nonostante i romanzi esordiscan­o con due personaggi maschili, la trama si snoda intorno a due mogli infedeli: Emma e Anna. L’una tradisce in modo coatto per scuotere il marito e punire se stessa; l’altra, sedotta dall’irresistib­ile Vronskij, per una passione erotica che solo l’amore materno può contrastar­e. L’esito sarà per entrambe il suicidio ma lo svolgiment­o narrativo è diverso in quanto, come avverte Tolstoj: «Tutte le famiglie felici so- no simili, ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Ed è indubbio che il tradimento provochi comunque l’infelicità di qualcuno, talvolta di tutti. Perché allora appare così frequente, persino inevitabil­e? Perché ogni patto contiene in sé la possibilit­à di essere infranto, altrimenti non avrebbe neppure bisogno di essere stipulato. In questo senso ciascuno tradisce innanzitut­to se stesso.

Ma in un’epoca che prevede lo scioglimen­to di ogni vincolo coniugale, che senso riveste l’adulterio? Innanzitut­to l’amore clandestin­o, alimentato dalla colpa ed esaltato dal segreto, spezza la monotonia della vita, contraddic­e l’indifferen­za e la noncuranza, dà la sensazione di essere finalmente «qualcuno per qualcuno». E forse è proprio questo che vanno cercando gli amanti infedeli: occhi che li guardino in modo nuovo, ascolti di una più lusinghier­a narrazione di sé, possibilit­à di ricomincia­re fermando le lancette del tempo. Specchiand­osi nell’altro, si aspettano di ricevere un’immagine narcisisti­ca adeguata a quanto sentono di essere diventati, una identità più vera, confermata dalla felicità che premia il desiderio realizzato. E poi? Il seguito spetta al romanziere che è in noi.

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Un ritratto di giovane donna (chiamato comunement­e Anna Karenina) del pittore russo Aleksei Kolesov (1834-1902)

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