Corriere della Sera - La Lettura

Chi perde un amico trova le Indie di Hella Haasse

- di MARCO DEL CORONA

Èuna patria che a poco a poco cessa di essere patria, quella del protagonis­ta di L’amico perduto, un bambino che si fa uomo nelle Indie olandesi che stanno per diventare l’Indonesia. Il primo romanzo di Hella Haasse (traduzione di Fulvio Ferrari, Iperborea, pp. 141, € 16) uscì infatti nel 1948, l’anno prima che Sukarno proclamass­e l’indipenden­za e di quel clima porta i segni. Centrale l’io narrante: è lui a ricordare l’amico Urug «impresso nella mia vita come un sigillo», a osservarne la metamorfos­i da compagno di giochi nella natura proterva di Giava a giovane nazionalis­ta che rimprovera agli olandesi di tenere la popolazion­e indigena in uno stato di minorità (per il versante indonesian­o della lotta anticoloni­ale il lettore italiano può attingere a Pramoedya Ananta Toer, della cui Tetralogia di Buru il Saggiatore ha tradotto i primi due volumi). All’evoluzione di Urug si affianca quella del narratore, che sembra arreso di fronte all’«irrevocabi­le, incomprens­ibile diversità», al «segreto dello spirito e del sangue» del coetaneo. Sono espression­i che tradiscono un approccio consapevol­mente «orientalis­ta», se poco oltre il protagonis­ta esprime «il dubbio che io e Urug non avessimo gli stessi identici diritti»: qui si annida la biforcazio­ne nei destini dei due ragazzi. La linearità della trama si sdoppia a sua volta su un piano metaforico, con l’oscuro lago nella foresta prima popolato di fantasmi, quindi teatro della tragedia dove muore il padre di Urug, infine luogo dell’agnizione finale. Sparisce anche «il reame incantato» dell’infanzia del narratore: luoghi e persone perdono ciascuno la propria innocenza, il protagonis­ta perde la patria come l’Olanda dice addio a un Oriente che non ha mai davvero compreso. Il narratore perde un amico («una superficie, uno specchio. Mai ne ho sondato le profondità») che era una (la) patria e per il quale l’emancipazi­one personale è un’emancipazi­one nazionale. L’epopea di uno smarrirsi, dunque, e senza approdo.

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