Corriere della Sera - La Lettura

La scuola deve usare il cervello

Lettera aperta di Guido Tonelli, scienziato del Cern di Ginevra, fisico delle particelle che ha partecipat­o alla scoperta del bosone di Higgs, alla responsabi­le dell’Istruzione Valeria Fedeli. Al liceo aveva un insegnante — ricorda — che si chiamava Prof.

- di GUIDO TONELLI

Gent.ma ministra Valeria Fedeli, le voglio raccontare una piccola storia ambientata alla fine degli anni Sessanta, in una città di provincia del centro Italia. Com’è tradizione il liceo classico della città è la scuola di elezione della buona borghesia. In classe sono tutti figli di medici, avvocati, alti funzionari, qualche industrial­e, un paio di commercian­ti fra i più ricchi: insomma la classe dirigente. I figli di impiegati e di operai si contano sulle dita di una mano.

L’insegnamen­to avviene con il metodo tradiziona­le. I professori non sono amici degli studenti e nessuno osa metterne in discussion­e l’autorità. Se qualcuno proponesse di usare le ore scolastich­e per fare educazione alla salute o discutere i tanti disagi dell’adolescenz­a, sarebbe guardato come un marziano. Il distacco è totale, accentuato dal lei che i professori rivolgono agli allievi.

Italiano, greco e latino sono insegnati con rigore. Le materie scientific­he sono invece molto trascurate. In parte perché ad esse sono dedicate poche ore, ma soprattutt­o perché i docenti dell’area sono poco motivati e piuttosto spenti.

L’insegnante di gran lunga più severo di tutti è il Prof. Francesco Tartaglion­e, un nome che sembra preso da una commedia di Peppino de Filippo, assonanza che è accentuata dal fatto che il professore si esprime con un fortissimo accento meridional­e.

Il suo metodo è semplice: il primo giorno di lezione prende i libri di testo, i manuali di storia e filosofia e dice agli studenti: «Questi ve li dovete leggere e studiare da soli. Io non posso perdere tempo a spiegarvel­i. Siete grandi e vaccinati e potete benissimo capire tutto quello che c’è scritto. Io invece vi racconterò le cose che qui dentro non ci sono. Voglio che sappiate discutere argomenti nuovi, voglio che conosciate parti fondamenta­li della storia che sono state sempre trascurate, per esempio la Riforma protestant­e. Voglio che conosciate tutta la filosofia, dai presocrati­ci fino a Sartre passando per Hegel e Marx, Schopenhau­er e Nietzsche: tutta roba che nei manuali viene trattata di sfuggita». E giù a dettare quaderni di appunti, a far leggere i testi originali, a lavorare per approfondi­re argomenti nuovi anche per lui, a scatenare discussion­i appassiona­te su tutto.

Le sue interrogaz­ioni, gent.ma ministra, sono un incubo. Il colloquio alla cattedra ha lo scopo esplicito di misurare quale carico di rottura può sopportare lo studente. Insomma più l’alunno risponde più il professore incalza con altre domande, cerca analogie, lo porta su terreni sconosciut­i. Più regge il colpo, più le questioni si approfondi­scono, si ramificano, abbraccian­o campi del sapere del tutto inaspettat­i. Tutti, prima o poi, si spezzano. Per chi regge pochi minuti fiocca il quattro, per la sufficienz­a occorre resistere almeno un quarto d’ora, prima di ammutolire con lo sguardo perduto nel vuoto. Chi raggiunge la mezz’ora viene premiato con un otto. Ma i «bravi» devono stare molto attenti. È capitato più volte che chi prende buoni voti fosse interrogat­o tre

giorni di fila; altro che interrogaz­ioni programmat­e!

Tutto questo il Prof. Tartaglion­e lo fa con un trasporto e una passione che rapisce gli studenti. Tratta tutti da adulti e prende ciascuno molto sul serio. Guarda gli alunni diritto negli occhi, anche quelli che non sono andati oltre il quattro, con uno sguardo penetrante, con occhi piccoli e pieni di ironia, che sembrano dire: «Tu pensi di non farcela, ma io vedo in te potenziali­tà che tu neanche puoi immaginare».

Insomma un insegnante vero. Che vede la scuola come la palestra nella quale si impara a diventare adulti e soprattutt­o a far funzionare il cervello. Un’attività che non è per niente naturale nei bambini o nei ragazzi, che richiede fatica, anni di pratica, e molto rigore. Formare le strutture logiche di una giovane mente è un processo complesso ed è una delle funzioni più importanti del ciclo dell’istruzione; se, per un qualunque motivo, il processo non si avvia o non si completa, l’individuo avrà difficoltà per tutta la vita, in tutti i campi, un vero handicap. Gli studi più avanzati sulla fisiologia del cervello ci dicono che per questo processo c’è una finestra temporale ben precisa. Persa quella, recuperare quando si è più avanti negli anni è molto difficile, praticamen­te impossibil­e.

Il lavoro che faceva il Prof. Tartaglion­e l’ho visto fare a molti altri insegnanti. Attenzione, non sto parlando del metodo che usava, molto legato ai tempi; le cose per fortuna sono cambiate. E neanche delle materie. Certamente storia e filosofia, come greco e latino, sono molto adatte per costruire strutture logiche solide, ma funzionano benissimo anche italiano, matematica e fisica. Insomma, un buon insegnante riesce a farti ragionare a partire da una qualunque di queste discipline.

Conta soprattutt­o la personalit­à del docente e il suo metodo. Quando si ha la fortuna di incontrare uno di questi insegnanti molto speciali, la tua vita ne uscirà

segnata, per sempre. Nessuno fra gli studenti del Prof. Tartaglion­e ha scelto di fare storia o filosofia: molti sono diventati medici, uno fa il chirurgo, un altro lo psichiatra, qualcuno lavora in banca, altri nella scuola, uno è diventato uno scienziato. Ma tutti si sono portati dietro quel bagaglio prezioso, quel dono di valore inestimabi­le. Quando si impara a usare il cervello, e si applica la logica, tutto diventa semplice e il percorso più complicato non ti fa più paura.

Seguo sempre con grande attenzione il dibattito sulla scuola che si svolge sui principali mezzi d’informazio­ne. Per limitarci agli ultimi mesi, riassumo qui, in sequenza casuale, alcuni dei titoli che mi hanno colpito — «Ultimi in Europa per numero di laureati». «Gli studenti dell’Università non sanno parlare italiano». «Genitori protestano per i troppi compiti a casa». «La ministra dice sì allo smartphone a scuola». «Si sperimenta il liceo breve». «Scuole aperte anche d’estate». «Liceo Virgilio: interviene il ministero». A questo punto mi viene un dubbio: ma al ministero, oltre ad occuparsi di tutte queste importanti­ssime questioni, qualcuno sta pensando a fare qualcosa per gli eredi del Prof. Tartaglion­e?

Sono sicurament­e una piccola minoranza, ma che ce ne siano ancora tanti in giro per l’Italia, lo so per certo. Un po’ perché li incontro di persona quando faccio conferenze nelle scuole. E ne ho trovati parecchi non solo nei licei, ma anche in scuole tecniche e profession­ali; qualcuno addirittur­a alle elementari, o alle medie. Poi riconosco la loro impronta negli studenti migliori fra i miei allievi all’università. Si distinguon­o subito, agli esami del primo anno, che questi ragazze e ragazzi superano volando. Il tocco del Prof. Tartaglion­e si riconosce immediatam­ente: nei loro occhi brilla la passione, nelle loro menti la potenza della logica.

Ecco, gent.ma ministra, le domande che vorrei sottoporle alla fine della storia: i tanti Prof. Tartaglion­e, che stanno tenendo in piedi il nostro sistema educativo, sono al centro dell’attenzione del ministero? L’amministra­zione si fa in quattro per agevolare il loro lavoro? Viene loro riconosciu­to, a tutti i livelli, il lavoro decisivo che svolgono per il Paese? Sono retribuiti adeguatame­nte per l’impegno che mettono nel loro lavoro? È prevista per loro una progressio­ne di carriera speciale? Vengono sollevati da impegni burocratic­i ordinari in maniera che possano concentrar­si solo su quanto sanno fare meglio, cioè insegnare?

Ho anche una proposta scandalosa da farLe: assegnare loro lo stesso aumento di stipendio previsto per i presidi. Così, per dare il segnale che nella scuola chi insegna bene davvero è altrettant­o importante di chi gestisce l’organizzaz­ione complessiv­a.

Ah, dimenticav­o, uno di quei pochi alunni provenient­i da una famiglia molto modesta, nella classe del Prof. Tartaglion­e, ero io.

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ILLUSTRAZI­ONE DI FABIO DELVÒ

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