Corriere della Sera - La Lettura
È la luce che pensa a te
Della memoria secondo Antonio Gamoneda
La parola di Antonio Gamoneda ci fa entrare in una terra di nessuno, piena di ombre. Scrivere è per l’autore addentrarsi dentro di sé, per scoprire che lì l’infinita estensione della memoria confina, fraternamente, con l’oblio, quasi tendendo a esso, ma senza annullarvisi. Gli assenti, gli amati riprendono posto nel fondo di un io sospeso su un orlo, su un limite estremo, su un pulviscolo. Lì è il luogo delle «cause invisibili», lì è il precipizio di una lingua che si identifica con l’errore e l’ignoranza. È l’antica sapienza del non sapere, infatti, che governa il verso inflessibile e insieme sontuoso — ora a scalino e traforato dal vuoto, ora quasi prosastico — di questo poeta spagnolo formatosi pressoché da solo, autore nel 1977 di Descrizione della menzogna, che insieme al Libro del freddo del 1992 costituisce il retroterra essenziale di Canzone erronea, del 2012 (ora edita da LietoColle). Si direbbe che la poesia di Gamoneda consista nel sigillare e riconsegnare il creato: è una specie di analisi fisiologica della persistenza vitale, pronta a rifluire nel mare sconosciuto dell’inesistenza. È poesia non solo del freddo, del bianco, della negazione, ma proprio del limite ultimo, su cui la lingua si protende tenace, come a conservare l’avere amato, l’essere stato. Poesia che ritorna così nel grembo, un grembo indifferente, indistinto, che può essere madre, oblio, immobilità lucente: «Pensa la luce./ No;/ non puoi pensarla: è lei/ che ti pensa.// Chiudi gli occhi».