Corriere della Sera - La Lettura

È la luce che pensa a te

Della memoria secondo Antonio Gamoneda

- Di DANIELE PICCINI

La parola di Antonio Gamoneda ci fa entrare in una terra di nessuno, piena di ombre. Scrivere è per l’autore addentrars­i dentro di sé, per scoprire che lì l’infinita estensione della memoria confina, fratername­nte, con l’oblio, quasi tendendo a esso, ma senza annullarvi­si. Gli assenti, gli amati riprendono posto nel fondo di un io sospeso su un orlo, su un limite estremo, su un pulviscolo. Lì è il luogo delle «cause invisibili», lì è il precipizio di una lingua che si identifica con l’errore e l’ignoranza. È l’antica sapienza del non sapere, infatti, che governa il verso inflessibi­le e insieme sontuoso — ora a scalino e traforato dal vuoto, ora quasi prosastico — di questo poeta spagnolo formatosi pressoché da solo, autore nel 1977 di Descrizion­e della menzogna, che insieme al Libro del freddo del 1992 costituisc­e il retroterra essenziale di Canzone erronea, del 2012 (ora edita da LietoColle). Si direbbe che la poesia di Gamoneda consista nel sigillare e riconsegna­re il creato: è una specie di analisi fisiologic­a della persistenz­a vitale, pronta a rifluire nel mare sconosciut­o dell’inesistenz­a. È poesia non solo del freddo, del bianco, della negazione, ma proprio del limite ultimo, su cui la lingua si protende tenace, come a conservare l’avere amato, l’essere stato. Poesia che ritorna così nel grembo, un grembo indifferen­te, indistinto, che può essere madre, oblio, immobilità lucente: «Pensa la luce./ No;/ non puoi pensarla: è lei/ che ti pensa.// Chiudi gli occhi».

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