Corriere della Sera - La Lettura
Al Museo della Bibbia non c’è spazio per i cattolici
«La Lettura» ha visitato il complesso appena inaugurato a Washington: 500 milioni di dollari, sette anni di lavori, 40 mila pezzi selezionati. Ma... talvolta sembra di stare in un presepe. E... la scienza è concepita al servizio della fede. Inoltre...
Le ultime immagini sono quelle d i B a r a c k O b a ma c h e c a n t a Amazing Grace e di sei scienziati, non tra i più conosciuti, che si sforzano di dimostrare la piena compatibilità, anzi la complementarietà di ragione e fede. È la tesi di fondo che segna l’impianto concettuale, storiografico, iconografico del Museo della Bibbia, i naugurato l o s co r s o 1 8 nove mbre a Washington. Un’iniziativa privata, promossa dalla famiglia Green, di Oklahoma City, proprietaria di Hobby Lobby, una catena commerciale di bricolage e oggetti d’artigianato. Il fondatore della dinastia imprenditoriale è David, donatore generoso con la comunità evangelica, abbastanza noto per la sua campagna nazionale contro la pillola del giorno dopo. Uno dei figli, Steve, ha messo insieme i 500 milioni di dollari per realizzare il Museum of the Bible. Il lavoro di preparazione è durato sette anni, spesi a raccogliere oltre 40 mila pezzi. Gigantismo, interattività, video, tante piccole trovate nazionalpopolari. Spiegazioni dettagliate, lunghi filmati didascalici alternati all’ambientazione scenografica dei luoghi in cui vissero Gesù, i Profeti, i Re d’Israele. La prima sensazione è la quantità, a volte anche fin troppo ridondante. La sezione d’apertura, «La Storia», al quarto piano, comincia con un’enorme libreria semicircolare dove sono allineate le traduzioni, parziali o complete, del Testo: 397 lingue, dall’inglese al Misima-Panaeati, idioma di alcune isolette dell’Oceania.
La ricostruzione filologica non aggiunge nulla alle conoscenze fin qui consolidate. Salvo il dubbio sollevato dagli accademici sull’autenticità di alcuni frammenti esposti, attribuiti ai «Manoscritti del Mar Morto», datati tra il 150 a.C. e il 70 d.C. e scoperti tra il 1947 e il 1956 nelle grotte di Qumran, in Cisgiordania.
Ma il Museo non dialoga con la ricerca scientifica. Si rivolge, invece, al grande pubblico. Gli fa vedere, toccare le copie facsimile più antiche e misteriose, lo guida lungo il tortuoso percorso di formazione, segnato dalle bacheche, dalle mappe luminose, dalle clip. Gli Egizi, gli Ebrei, i Greci, i Romani fino alle traduzioni canoniche: la Vulgata (IV secolo); la «Bibbia di Lutero», 1534; quella di Re Giacomo, 1611.
Si scende di un piano e si entra nelle «Storie», divise in tre sezioni: la tradizione ebraica, «Il mondo di Gesù di Nazareth», «L’Antico Testamento». È il padiglione più semplicistico di tutti. L’epoca di Gesù è riprodotta con materiali e allestimenti da presepe parrocchiale: gli artigiani, i pastorelli, il gorgoglio dei ruscelli.
Per tirare le fila bisogna, invece, arrivare all’ultimo spazio: «L’impatto della Bibbia». Si prendono le mosse, com’è naturale, dall’esperienza americana. La dottrina protestante, con le sue varianti puritane o più secolari, è una delle materie prime, l’altra è l’Illuminismo, con cui viene plasmata a metà del Settecento, l’identità dei nascenti Stati Uniti d’America. La Bibbia dei Pellegrini ispira l’elaborazione politica (lo Stato come garante dei cittadini e non come tiranno); culturale (la sostanziale eguaglianza degli uomini); economica (la ricchezza come segno di benedizione). Una fonte che rimane vitale anche nella nuova Repubblica. Prima di entrare alla Casa Bianca i presidenti giurano sulla loro copia personale del Libro sacro. Comincia George Washington il 30 aprile 1789, inaugurando una procedura di alto valore simbolico che dura fino a oggi e che, per altro, non è prevista dalla Costituzione.
Ma il tragitto nel tempo è tutt’altro che lineare. L’Antico e il Nuovo Testamento vengono branditi sia dai Nordisti che dai Sudisti per legittimare la Guerra di Secessione. Così come dagli schiavisti e dai loro avversari per giustificare o condannare la pretesa supremazia dei bianchi. I «secoli americani» non hanno risolto del tutto queste contraddizioni, anche se si chiude con le citazioni bibliche di Martin Luther King e poi con una registrazione di Barack Obama. È il 26 giugno 2015, a Charleston, South Carolina: il presidente canta in versione soul Amazing Grace, il popolare inno cristiano composto nel Settecento, in ricordo delle nove vittime della strage compiuta dal suprematista bianco Dylann Roof nella Emanuel African Methodist Church.
È un passaggio carico di emozioni che si stempera nel salone finale del Museo. Qui diventa più visibile la matrice evangelica della famiglia Green e degli altri donatori. All’inizio sembra solo una leggera curvatura degli avvenimenti storici e spirituali. I materiali sono sempre abbondanti. Eppure colpiscono le vistose omissioni. Non c’è praticamente traccia della lunga vicenda della Chiesa cattolica, dei suoi santi, del papato. Rimozione totale anche dell’islam, nonostante il Corano si richiami, tra l’altro, ad Abramo, Ismaele e Gesù.
Manca, ed è un peccato, anche il gusto del confronto con le correnti di pensiero più ostili. Non un riferimento ai tre grandi pensatori anti-religiosi della modernità: Karl Marx, Sigmund Freud e, soprattutto, Friedrich Nietzsche, figlio di un pastore luterano, la cui formazione partì dagli studi teologici.
I curatori evitano gli spigoli, le controversie. Il successo implicito o esplicito del Libro tocca 22 capitoli del mondo, dall’arte alla moda, dalla vita quotidiana alla musica, dalla sanità ai diritti umani. Su una parete sono esposti 58 quadri (tutte copie, naturalmente) con un unico soggetto: la Madonna e il Bambino. Il primo è il dipinto ritrovato in una catacomba romana del IV secolo. Poi ecco Giotto, Leonardo, Caravaggio, i fiamminghi, fino agli artisti africani contemporanei. Dall’altra parte, in una specie di cabina circolare si possono ascoltare brani pop o rock. E si viene a scoprire che i Salmi e il Vangelo di Luca facevano capolino nella vita di Elvis Presley.
Si approda, infine, all’abbraccio più difficile, quello con la scienza. Le statue di Newton e Galileo vigilano su uno schermo che trasmette a rullo gli interventi di sei scienziati: Ard Louis, professore di Fisica teoretica all’Università di Oxford; Kelly Chibale, professore di Chimica organica a Cape Town; Bethany Sollereder, studiosa di Scienza e Religione a Oxford; John Lennox, professore di Matematica anche lui a Oxford; Sarah Lane Ritchie, ricercatrice di Teologia e Scienza all’Università di St. Andrews; Alister McGrath, professore di Scienza e Religione anche lui a Oxford. Tutti accademici rispettabili, non dei Premi Nobel. Uno dopo l’altro ripetono: il mondo è regolato da leggi fisiche e matematiche complesse. Ciò rimanda all’esistenza di un «Legislatore», un «Creatore supremo», in grado di assorbire e spiegare anche il darwinismo o il Big Bang. La scienza, dunque, si ferma sulle soglie della Bibbia, che resta universalmente attuale e insostituibile. È una conclusione che potrà apparire un po’ riduttiva, considerando il livello sofis t i cato del di al ogo t r a fe de e r i cerca scientifica.