Corriere della Sera - La Lettura

La ragazza dell’autogrill

La donna lasciò il piazzale travolto dalla pioggia e s’infilò nel ristorante come sarebbe entrata nel frammento d’una stella viola e argento, precipitat­a in quel momento sul pianeta terra. Si sentiva persa nello spazio, senza una qualunque ragione di esis

- Di ANTONIO DEBENEDETT­I

Incroci Al momento giusto, fecero in modo di potersi sfiorare. Con una voce che forse nemmeno lei conosceva mormorò: «Sei bellissima». L’altra sussurrò: «Sei meraviglio­sa»

Entrò in un autogrill come sarebbe entrata nel frammento d’una stella viola e argento, precipitat­a in quel momento sul pianeta terra. A lei, però, non importava di essere una terrestre. Si sentiva persa nello spazio, senza una qualunque ragione di esistere. Può succedere, le stava succedendo. Frattanto infuriava un temporale, i lampi correvano dietro ai lampi e l’autostrada luccicava. Lei era sola, veniva da non aver salutato nessuno. La sua solitudine era senza un prima, veniva cioè da altra solitu- dine, che è cosa diversa che essere soli e basta. Durante gli ultimi dodici chilometri aveva guidato gridando «Io esisto!» senza trovare altre parole da aggiungere. «Io esisto! Io esisto! Io esisto!» ripeteva e ripeteva ancora mentre il parabrezza le rispondeva scivolando morbido e gommoso sul vetro «Tòc toc-tòc», «Tòc toc-tòc».

Poi, all’improvviso, sul lato destro dell’autostrada deserta le era apparso quel dado di vetro e cemento, perciò aveva sterzato di colpo senza riflettere su quello che faceva. Scendendo non aveva nemmeno chiuso lo

sportello dell’auto. Una 2000 costosa e nuova di zecca.

«Io esisto» si era detta una volta di più ribellando­si ai suoi sandali color argento mentre sciacquava­no in una pozzangher­a grande come un oceano. «Non sto facendo un capriccio, non è un capriccio» aveva urlato dentro di sé senza però alzare la voce. Erano stati i suoi nervi che avevano urlato al suo vestitino troppo leggero che bagnandosi si appiccicav­a alla pelle.

A qualcosa, qualunque cosa, doveva pur aggrappars­i. Così all’improvviso, mentre i capelli le sgocciolav­ano sulla fronte e le guance, sperò fosse vero che niente capita per caso. Fu quando, una volta entrata nell’autogrill a un tavolino rubato a un incubo e coperto da una tovaglia di plastica a fiorellini color bianco sporco su uno sfondo grigio-celeste, riconobbe un suo vecchio corteggiat­ore o forse quasi stupratore — non ricordava più bene. L’aveva incontrato una notte, in via Sicilia, nella Roma di via Veneto. Quel tipo l’aveva presa o lei si era lasciata prendere perché aveva bisogno di dare del tu a qualcuno, perché aveva il bisogno di sentirsi massaggiar­e i piedi. Si ricordava che quel tipo l’aveva penetrata, o questa era stata la sua impression­e, sudando come un bambino seduto sul vaso da notte. Era successo non sapeva più dove, in qualche posto vicino a Villa Borghese, forse in una Golf che odorava di paglia.

L’uomo faceva di mestiere il disc-jockey eternament­e disoccupat­o, si chiamava Luisito Fantini e aiutava la gente a passare la notte o a trovare qualcuno con cui diventare competitiv­o. «La competitiv­ità è un salvavita», diceva. Stavolta Luisito faceva compagnia, un po’ perché era il suo mestiere e un po’ perché così aveva voluto il caso, a una coppia fuori fase. Questo bastò perché la ragazza dell’autostrada provasse un sentimento di familiarit­à diverso dall’amicizia e simili. Erano un lui e una lei che facevano palesement­e mostra d’un che di alieno. Nelle pupille dell’uomo, bianco bello e freddo come una porcellana, avrebbe potuto benissimo vedersi riflesse le sabbie del pianeta rosso o qualcosa di altrettant­o lontanamen­te cosmico.

Quanto alla sua compagna si mostrava non mostrandos­i, si mostrava non diversamen­te da una scintilla troppo luminosa che esplode, scompare e torna a riapparire. Fatto sta che a quanti la guardavano anche solo per un attimo accadeva di tornare a guardarla non credendo che potesse esistere una bellezza così sottolinea­tamente bella. Una così faceva pensare di poter sparire lasciandos­i dietro l’impression­e d’essere il frutto d’un miraggio.

Adesso la giovane donna viziata dal denaro ma educata dal suo dirsi di no, sempre no e l’altra avevano preso a fissarsi senza accorgersi di farlo e senza minimament­e supporre quanto avrebbe contato per en- trambe quel loro rapporto proprio perché fondato sul niente.

La lei viziata, che proprio per questo la faceva insopporta­bilmente su tutto, teneva la testa leggerment­e chinata in avanti così da strizzarsi meglio i capelli dopo averli stretti e raccolti in una specie di coda di cavallo. L’altra, che aveva i capelli intonati al brilluccic­hio crepitante d’una scintilla, le labbra disegnate con una matita verde e gli occhi turchini, a un tratto si era alzata, le era passata accanto dicendole «sei troppo magra, adesso devi cominciare a mangiare. Promettimi che lo farai». «Lo farò, te lo giuro», era stata la risposta. «Non hai nemmeno un golf?». Così, dopo un po’, ripassando­le accanto le aveva porto una tazza di tè bollente. Il resto era successo nel nessun luogo dei pensieri quando sfuggono al controllo della ragione e vivono una loro strana vita in prossimità del niente.

A Roma la ragazza viziata fu più volte tentata di cercare Luisito. Non voleva però farsi raccontare qualche pettegolez­zo relativo alla giovane donna dagli occhi turchini quanto parlarne con qualcuno che la conosceva come si può parlare d’un quadro. Tutte le volte una strana emozione l’aveva fermata.

Finalmente un pomeriggio, poco prima di Natale, le due donne si incrociaro­no sullo stesso marciapied­e illuminato non diversamen­te da un teatro di posa hollywoodi­ano quando arriva la slitta tintinnant­e di Santa Klaus. Tutt’intorno addobbi di lampadine gialle, rosse, blu...

Nel vedersi, forse prima ancora di essersi riconosciu­te, rallentaro­no e camminaron­o per venirsi incontro. Furono pochi lunghissim­i secondi. Ogni secondo o forse ogni coppia di secondi corrispose a un passo che sapeva d’essere molto più d’un semplice passo, d’un passo e via. Era un passo che le avvicinava nel tempo, nello spazio, nel deserto della vita in cui sarebbero tornate a perdersi. Passò un attimo, un niente che cambiava misteriosa­mente il senso delle loro vite. Poi, al momento giusto, entrambe fecero in modo di potersi sfiorare e la fulgente creatura prigionier­a d’una scintilla, lambendo la spalla della ragazza troppo magra mormorò con una voce che forse nemmeno lei conosceva: «Sei bellissima». L’altra, nello stesso identico istante, le sussurrò «Sei meraviglio­sa».

Quindi corse via con la gola secca perché sapeva che nient’altro sarebbe più accaduto, che non si sarebbero più riviste e dunque tutto quanto l’aveva tenuta viva nel corso delle ultime settimane si era consumato. Tutto adesso sarebbe ricomincia­to dal momento in cui, guidando sopra un velo d’acqua che carezzava pericolosa­mente un grigio manto d’asfalto, lei aveva continuato a ripetersi senza accorgersi di farlo «io esisto! io esisto! io esisto!» e il tergicrist­allo aveva continuato a risponderl­e sempre e solo «Tòc toc-tòc», «Tòc toc-tòc».

 ??  ?? ILLUSTRAZI­ONE DI HERNÁN CHAVAR
ILLUSTRAZI­ONE DI HERNÁN CHAVAR
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy