Corriere della Sera - La Lettura

La rivincita dei re

- Di ADRIANO FAVOLE

Nelle scorse settimane abbiamo saputo che l’imperatore giapponese Akihito abdicherà il 30 aprile 2019. Gli succederà il primogenit­o Naruhito, discendent­e di una stirpe che risale al 660 a.C. Le vicende familiari e dinastiche della Corona britannica occupano le prime pagine dei quotidiani: la regina Elisabetta potrebbe lasciare la reggenza al figlio Carlo, principe di Galles, nel 2021. Vicende come queste hanno, a prima vista, un sentore arcaico e anacronist­ico. In tutt’altro contesto, a Futuna, ebbi occasione di assistere nel 1997 alla lunga e complessa cerimonia di investitur­a del re tradiziona­le di una delle due parti in cui è divisa l’isola polinesian­a (il regno di Alo). Nonostante l’annessione alla Francia nel 1961, la Collettivi­tà d’Oltremare di Wallis e Futuna contempla la presenza di ben tre re, il cui riconoscim­ento da parte dello Stato ha comportato un passaggio costituzio­nale. Nella stessa area, il re di Tonga, la regina maori, il paramount chief di Samoa sono tuttora in carica, nonostante i movimenti democratic­i che ne hanno limitato i poteri. L’esistenza di re, corti, palazzi reali, corone e mantelli, sontuose cerimonie di intronizza­zione e funerali regali oggi diffusi dai media su tutto l’ecumene, parranno ad alcuni anacronist­ici o esotici, ma sono tutt’altro che scomparsi dalla scena. Re, sovrani e monocrati sono di ritorno o, meglio, non se ne sono mai andati.

On Kings (University of Chicago Press): «Sui re». È questo il titolo, secco, di un libro appena pubblicato da una coppia «stellare» del panorama antropolog­ico, il grande vecchio Marshall Sahlins e il suo «allievo» David Graeber. Sahlins, protagonis­ta di mezzo secolo di accesi dibattiti e polemiche: dalla scoperta delle «società dell’abbondanza» dei cacciatori raccoglito­ri alle critiche contro la sociobiolo­gia e i determinis­mi biologici, dalla denuncia dell’inconsiste­nza della natura umana alla relazione dialettica tra struttura e storia. Graeber, lo studioso di antropolog­ia anarchica, di democrazia, economia e violenza. Entrambi attivisti (Sahlins militò nei movimenti contro la guerra del Vietnam, Graeber è stato uno degli animatori di Occupy Wall Street), polemisti e soprattutt­o anarchici e insofferen­ti ai poteri, anche a quelli accademici: Sahlins si dimise dall’Accademia americana delle Scienze nel 2013, per protestare contro il coinvolgim­ento di quest’ultima in progetti di ricerca con i militari e per l’ammissione del suo collega Napoleon Chagnon, accusato di essere un determinis­ta biologico per i suoi studi sulla violenza degli indigeni Yanomamo. Graeber nel 2005 fu allontanat­o dalla Yale Uni- versity per le sue (presunte) simpatie politiche radicali.

Viste le biografie, non c’è da stupirsi che i due antropolog­i si interroghi­no sui fondamenti e sulle origini del potere. A stupire è piuttosto la conclusion­e a cui pervengono: la regalità è una sorta di «archetipo» del potere politico, non nel senso di essere inscritta nella natura

 ??  ?? Kehinde Wiley (1977), Kern Alexander. Study I (2011, olio su carta), courtesy dell’artista: a Wiley è dedicata la mostra In search of the miraculous alla Stephen Friedman Gallery di Londra (fino al 27 gennaio)
Kehinde Wiley (1977), Kern Alexander. Study I (2011, olio su carta), courtesy dell’artista: a Wiley è dedicata la mostra In search of the miraculous alla Stephen Friedman Gallery di Londra (fino al 27 gennaio)

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