Corriere della Sera - La Lettura
Più vacanze, meno auto (e uno smartphone) Ecco chi è il neocittadino
La lunga crisi (iniziata nel 2008) ha modificato anche i desideri degli italiani. In questo modo
Le grandi crisi non passano senza lasciare segni profondi. Questo vale di certo per la crisi iniziata nel 2008 — ormai quasi dieci anni fa, la più lunga e grave dal dopoguerra — che ha orientato e modificato i consumi delle famiglie. Al punto che possiamo parlare di un nuovo profilo di consumatore, definito dall’Istat come 4.0. È curioso notare come ciò emerga con chiarezza proprio adesso che spunta una piccola ripresa. Il Censis ha appena illustrato nel suo ultimo Rapporto come la spesa per i consumi delle famiglie sia aumentata dal 2013 al 2016 di 42,4 miliardi di euro (+4%), dopo anni di tagli. E l’Istat ha calcolato un aumento del Pil per il terzo trimestre 2017 dello 0,4%. Insomma, il rilancio è all’orizzonte. In realtà questo non è vero per tutti. Intanto, la ripresa vale più per l’industria, in particolare manifatturiera, che per le famiglie. Poi persistono drammatiche disuguaglianze: il Sud resta lontano dal Nord e dal Centro, le fasce sociali con bassi redditi arrancano, il ceto medio continua a ridimensionare il suo standard di vita, i giovani restano al palo. Eppure, si diceva, sta emergendo un nuovo consumatore, che si distacca in tanti modi dal passato.
Una prima differenza è nelle strategie di spesa. Anziché limitarsi a tagliare su tutto, il consumatore 4.0 amplia i luoghi di acquisto. La rete è stata la prima beneficiaria di questa svolta, visto che garantisce sconti, comparazioni di prezzi, scelta vastissima. I tanti timori che circondavano gli acquisti in rete da parte degli italiani sono stati superati anche sull’onda della necessità. Tra i luoghi fisici, invece, grande successo hanno ottenuto discount, outlet e mercatini, che si sono affiancati ai negozi tradizionali e ai supermercati. Così il consumatore ha difeso almeno in parte il suo potere di acquisto, puntando alla diversificazione. Dunque, flessibilità al primo posto.
Poi c’è il capitolo scelte di acquisto. La crisi impone tagli e limitazioni, ma questo non vale necessariamente per tutto. In pratica, ognuno è stato costretto a chiedersi: cosa mi interessa davvero? A cosa invece posso rinunciare? I dati statistici mostrano una risposta chiara: le scelte hanno premiato i consumi e i servizi legati al tempo libero e al benessere personale. Nel 2016 sono cresciuti gli acquisti riguardanti alberghi e vacanze (pari a 31,4 miliardi di euro), cultura e divertimenti (29 miliardi), servizi per la famiglia come personale domestico e riparazioni (28,5 miliardi), cure e bellezza (25,1 miliardi). Fra i beni fisici primeggiano la telefonia, i prodotti tecnologici, televisori e apparecchi di intrattenimento casalinghi. Ecco davanti a noi l’immagine di un consumatore che ritiene cultura, divertimento e cura di sé elementi centrali del proprio stile di vita. Il rovescio della medaglia arriva dal relativo regresso di alcuni beni durevoli ritenuti fondamentali da sempre, a cominciare dall’automobile. Il possesso di un veicolo non è più ai primi posti dei bisogni, soprattutto fra i giovani, se è vero che nel 2016 si è verificato un calo significativo delle persone tra i 18 e 19 anni che hanno preso la patente. Segno della crisi, certo, e dei costi legati alle pratiche burocratiche, ma anche di una diversa cultura. I giovanissimi postMillennial sognano una vacanza con un nuovo smartphone, al contrario dei loro genitori che aspiravano a una bella macchina. E lo stesso può dirsi per mobili e arredi domestici, altri consumi in decrescita. Insomma, assistiamo a un ribaltamento dei valori che sono stati il perno del miracolo economico italiano (un’auto nuova come segno di status e di mobilità, una casa ben arredata come immagine del ruolo centrale della famiglia) a favore di scelte più creative e legate alla soddisfazione personale. È un trend che parte da lontano, almeno dagli anni Ottanta, ma che è stato accelerato e drammatizzato dalla crisi.
Tutto questo va visto infatti sullo sfondo del peso crescente dei consumi incomprimibili. La casa fa la parte del leone, mangiandosi circa un quarto degli introiti familiari. Un salasso molto pesante, soprattutto nelle aree urbane dove è più diffuso l’affitto. Ma va ricordato che il costo di bollette, riscaldamento e manutenzioni varie è salito per tutti. Di qui la necessità di fare precise scelte sugli altri consumi.
Una prima conclusione da trarre è dunque che il consumatore di oggi è diverso da quello pre-crisi e che, se pure i redditi tornassero a salire rapidamente, i consumi non sarebbero più gli stessi. Indietro non si torna. La crisi economica si è saldata a spinte culturali nel disegnare una nuova geografia del consumo, le cui coordinate principali sono la mobilità e la comunicazione, il tempo libero e le vacanze, e infine la cura di sé.
Non sorprende allora osservare le risposte riportate sempre dal Censis sui consumi maggiormente desiderati. L’aspirazione più grande per il 45,4% degli italiani, da attuare anche a costo di tagli, è quella di una vacanza; seguono (escludendo i consumi alimentari) abiti e accessori (24,7%); un nuovo smartphone (17,4%); attività culturali come mostre e spettacoli (16,9%); attività sportive (15,2%); e infine abbonamenti a pay tv o intrattenimenti web (12,5%). Alcuni «nuovi» consumi sono divenuti quindi parte integrante dell’identità del consumatore 4.0 — e qui non mancano sorprese, oltre che conferme. La prima sorpresa è che risulta falso lo stereotipo per cui gli italiani non si interessano alle attività culturali e di spettacolo. Dal 2007 al 2016 in Italia si è addirittura registrato il record europeo di questi consumi, con un +12,5%, e questo proprio nel momento della regressione generalizzata di tutti i consumi (-3,9%). Ingressi al cinema, visite a mostre, musei e luoghi archeologici: tutto è cresciuto anche in tempo di crisi. D’altra parte, la conferma è che il nuovo consumatore ama la tecnologia. Nello stesso periodo 2007-2016 sono aumentati gli acquisti di computer del 45% e degli smartphone addirittura del 190%, e questi hanno favorito a loro volta la crescita di servizi collegati, come le piattaforme per lo streaming e i servizi online. Quindi è inutile demonizzare beni come gli smartphone: più che consumi, fanno parte del modo di essere dei consumatori del XXI secolo. A volte le crisi possono anche portare lezioni positive. Possono spingere verso consumi tecnologici nuovi, ma anche orientare verso scelte culturali e socializzanti o fare riflettere su di un consumo responsabile. Il consumatore che uscirà alla fine dalla recessione forse sarà migliore, di sicuro sarà diverso da quello pre-crisi.