Corriere della Sera - La Lettura

I cacciatori dell’universo vanno indietro nel tempo

- Di GUIDO TONELLI

L’esplorazio­ne dei due infiniti, è il campo d’indagine della fisica moderna. Noi fisici delle particelle ci avventuria­mo nell’infinitame­nte piccolo; usiamo i nostri gigantesch­i accelerato­ri come supermicro­scopi capaci di scandaglia­re le più minute dimensioni della materia. Riproducia­mo in laboratori­o le particelle che popolavano l’universo primordial­e, minuscoli brandelli di materia che, nel mondo vecchio e freddo che ci circonda riescono a vivere soltanto una frazione di secondo. Ma tanto basta per permetterc­i di studiarle; quel lampo effimero lascia tracce persistent­i nei nostri apparati e ci racconta in dettaglio cosa è successo 13,8 miliardi di anni fa, nei primi istanti di vita dello spazio-tempo. I nostri apparati ci fanno fare un viaggio indietro nel tempo che ci toglie il respiro, quando vediamo apparire nei computer particelle estinte da miliardi di anni. È in questo modo che abbiamo scoperto il bosone di Higgs e abbiamo potuto ricostruir­e quel momento magico della nostra storia in cui si è rotta la perfetta simmetria che all’inizio dominava tutto; da allora la materia ha acquistato la consistenz­a che le ha permesso di aggregarsi in forme stabili e di costruire strutture persistent­i come le stelle, le galassie, i pianeti e tutto quello che costituisc­e il nostro mondo, compresi noi.

Astronomi e astrofisic­i si muovono agli antipodi rispetto a noi. Nell’esplorare l’infinitame­nte grande studiano gli oggetti più grandi e distanti del cosmo intero. Usano enormi super-telescopi per osservare le galassie o i grandi ammassi e si sono spinti a misurare le proprietà dell’universo intero. Fanno anche loro, come noi, un viaggio all’indietro nel tempo. Poiché la velocità della luce è molto grande ma finita, quando osservano galassie distanti milioni di anni-luce, sanno che i pochi fotoni registrati dai più sensibili strumenti hanno impiegato milioni di anni per giungere fino a noi. Le galassie appaiono quindi non come sono ora, diventa anzi complicato definire cosa vuol dire «ora», ma com’erano milioni di anni fa, quando hanno emesso quella luce. Con i più moderni super-telescopi, che riescono a vedere oggetti distanti miliardi di anni-luce, si osservano eventi avvenuti miliardi di anni prima e si può assistere in diretta ai primi vagiti dell’universo bambino.

Come per miracolo le due strade, così radicalmen­te antitetich­e, basate su strumenti così diversi, convergono verso la stessa descrizion­e dell’universo primordial­e. Ancora una volta, se si accetta il paradosso, l’infinitame­nte grande fa capolino nell’infinitame­nte piccolo e viceversa.

La nostra collocazio­ne naturale ci situa in una specie di mondo di mezzo. Quello abitato dall’uomo di Vitruvio, con le sue belle proporzion­i disegnate da Leonardo, che si può considerar­e, grosso modo, al centro della scala, in compagnia degli oggetti di 1 metro. All’estremo superiore si trova l’universo visibile, che ha una dimensione di 10 alla 27ª metri, una cosa enorme, ma finita. All’altra estremità incontriam­o le più piccole particelle elementari, elettroni e quark, minuscole strutture di 10 alla -18 metri. Non sono le dimensioni più minute che possiamo immaginare. Il cammino dell’esplorazio­ne dell’infinitame­nte piccolo è ancora molto lungo. Per arrivare alla scala di Planck, 10 alla -35 metri, che nasconde forse tutti i segreti su cui ci arrovellia­mo, ci sono da esplorare altri 17 ordini di grandezza. Nell’ultimo secolo, il progresso della fisica da Rutherford in poi è stato spaventoso ma, in fin dei conti, abbiamo guadagnato solo 6 ordini di grandezza, circa uno per ogni generazion­e di scienziati. Ci vorrà molta pazienza per carpire i molti segreti che la natura nasconde nei minuscoli anfratti che finora nessuno ha esplorato.

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