Corriere della Sera - La Lettura
I cacciatori dell’universo vanno indietro nel tempo
L’esplorazione dei due infiniti, è il campo d’indagine della fisica moderna. Noi fisici delle particelle ci avventuriamo nell’infinitamente piccolo; usiamo i nostri giganteschi acceleratori come supermicroscopi capaci di scandagliare le più minute dimensioni della materia. Riproduciamo in laboratorio le particelle che popolavano l’universo primordiale, minuscoli brandelli di materia che, nel mondo vecchio e freddo che ci circonda riescono a vivere soltanto una frazione di secondo. Ma tanto basta per permetterci di studiarle; quel lampo effimero lascia tracce persistenti nei nostri apparati e ci racconta in dettaglio cosa è successo 13,8 miliardi di anni fa, nei primi istanti di vita dello spazio-tempo. I nostri apparati ci fanno fare un viaggio indietro nel tempo che ci toglie il respiro, quando vediamo apparire nei computer particelle estinte da miliardi di anni. È in questo modo che abbiamo scoperto il bosone di Higgs e abbiamo potuto ricostruire quel momento magico della nostra storia in cui si è rotta la perfetta simmetria che all’inizio dominava tutto; da allora la materia ha acquistato la consistenza che le ha permesso di aggregarsi in forme stabili e di costruire strutture persistenti come le stelle, le galassie, i pianeti e tutto quello che costituisce il nostro mondo, compresi noi.
Astronomi e astrofisici si muovono agli antipodi rispetto a noi. Nell’esplorare l’infinitamente grande studiano gli oggetti più grandi e distanti del cosmo intero. Usano enormi super-telescopi per osservare le galassie o i grandi ammassi e si sono spinti a misurare le proprietà dell’universo intero. Fanno anche loro, come noi, un viaggio all’indietro nel tempo. Poiché la velocità della luce è molto grande ma finita, quando osservano galassie distanti milioni di anni-luce, sanno che i pochi fotoni registrati dai più sensibili strumenti hanno impiegato milioni di anni per giungere fino a noi. Le galassie appaiono quindi non come sono ora, diventa anzi complicato definire cosa vuol dire «ora», ma com’erano milioni di anni fa, quando hanno emesso quella luce. Con i più moderni super-telescopi, che riescono a vedere oggetti distanti miliardi di anni-luce, si osservano eventi avvenuti miliardi di anni prima e si può assistere in diretta ai primi vagiti dell’universo bambino.
Come per miracolo le due strade, così radicalmente antitetiche, basate su strumenti così diversi, convergono verso la stessa descrizione dell’universo primordiale. Ancora una volta, se si accetta il paradosso, l’infinitamente grande fa capolino nell’infinitamente piccolo e viceversa.
La nostra collocazione naturale ci situa in una specie di mondo di mezzo. Quello abitato dall’uomo di Vitruvio, con le sue belle proporzioni disegnate da Leonardo, che si può considerare, grosso modo, al centro della scala, in compagnia degli oggetti di 1 metro. All’estremo superiore si trova l’universo visibile, che ha una dimensione di 10 alla 27ª metri, una cosa enorme, ma finita. All’altra estremità incontriamo le più piccole particelle elementari, elettroni e quark, minuscole strutture di 10 alla -18 metri. Non sono le dimensioni più minute che possiamo immaginare. Il cammino dell’esplorazione dell’infinitamente piccolo è ancora molto lungo. Per arrivare alla scala di Planck, 10 alla -35 metri, che nasconde forse tutti i segreti su cui ci arrovelliamo, ci sono da esplorare altri 17 ordini di grandezza. Nell’ultimo secolo, il progresso della fisica da Rutherford in poi è stato spaventoso ma, in fin dei conti, abbiamo guadagnato solo 6 ordini di grandezza, circa uno per ogni generazione di scienziati. Ci vorrà molta pazienza per carpire i molti segreti che la natura nasconde nei minuscoli anfratti che finora nessuno ha esplorato.