Corriere della Sera - La Lettura

L’elenco dei numeri ci lascia a bocca aperta

- Di EUGENIA CHENG

L’infinito cattura l’immaginazi­one di chiunque, dai bambini ai matematici di profession­e. È un’idea facile da concepire — la cosa più grande possibile, più grande di ogni altra cosa — ma molto difficile da spiegare in termini logici. È emozionant­e perché è vasto come lo spazio, ma è dentro il nostro cervello. È qualcosa di lontano e misterioso.

I matematici hanno pensato per migliaia di anni a come spiegare l’infinito. È incredibil­mente difficile fissare questo concetto in modo da ragionarne con l’uso della logica. E dopo tutto questa è la ragione stessa della matematica: ragionare usando solo argomenti logici. Se non si sta attenti, nel trattare l’infinito ci si può trovare in uno strano paradosso. Se l’infinito è il numero più grande, cosa succede se a lui aggiungiam­o uno? È ancora infinito? Se è così, che cosa succede quando sottraiamo l’infinito dall’infinito più uno, otteniamo uno o zero?

La storia dell’infinito e della matematica ci mostra che la matematica non è solo una disciplina rigida e prevedibil­e, produce anche strani risultati che fanno girare la testa. Uno dei miei preferiti è quello per cui alcuni infiniti sono più grandi di altri. L’infinito più piccolo è quello dei numeri interi: 1, 2, 3, 4 e così via per sempre. Se includiamo tutti i decimali compresi i numeri irrazional­i, i «decimali che durano per sempre», ce ne sono in realtà altri, c’è un infinito più grande. Un altro fatto strano è che il giorno ha solo un numero finito di ore e un numero finito di minuti, ma ogni giorno facciamo molte cose all’infinito. Anche solo andando verso il frigorifer­o, copriamo un numero infinito di distanze: prima dobbiamo percorrere metà della distanza, poi metà della distanza rimanente e metà della rimanente, e così via all’infinito. Fortunatam­ente copriamo quelle distanze infinite in un tempo finito, altrimenti saremmo infinitame­nte affamati. Questo è il paradosso di Zenone, e non è stato risolto fino all’invenzione del calcolo infinitesi­male un paio di migliaia di anni dopo la morte di Zenone, a dimostrazi­one di quanto tempo ci sia voluto ai matematici per iniziare a capire l’infinito.

Tra l’altro non esiste una sola definizion­e di infinito, dipende da quel che si cerca di fare. Ci sono molti modi per spiegare l’infinito. Se pensiamo alla dimensione, useremo i numeri cardinali. Ad esempio potremmo pensare a quante persone può contenere una stanza infinita. In questo caso infinito più uno è ancora infinito. Se pensiamo a persone che si allineano in code infinite, allora fa differenza l’ordine in cui si dispongono — non vogliamo che qualcuno passi avanti a un altro. Questo criterio è chiamato numeri ordinali, e rende l’infinito più uno effettivam­ente più grande dell’infinito. Mi piace pensare che questo sia il motivo per cui Shakespear­e ha usato la frase «per sempre e un giorno», che sembra un tempo più lungo del «per sempre».

Uno dei miti persistent­i della matematica è che si voglia sempre arrivare alla «risposta giusta». Ma la storia della matematica e dell’infinito è un buon esempio di come la matematica sia in realtà volta a esplorare quali diverse risposte sono possibili, a seconda dei punti di vista. Non c’è una sola risposta giusta alla domanda «Cos’è l’infinito?». Ci sono molti mondi matematici diversi in cui l’infinito può vivere in forme diverse.

L’infinito inizia come qualcosa che sogniamo, usiamo poi la matematica per indagare su come quel sogno possa essere vero. I matematici hanno inventato molti tipi differenti di numeri per trovare una casa a quella strana bestia, l’infinito, che non si adattava al nostro normale mondo dei numeri. Non potremo mai comprender­e appieno l’infinito, proprio come non capiremo mai tutta la matematica. È un meraviglio­so, infinito viaggio. ( traduzione di

Maria Sepa)

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