Corriere della Sera - La Lettura
SOTTO LA CELTICA NIENTE: LE CENERI DI CAMPO HOBBIT
La croce celtica o croce solare, cioè sovrapposta a un cerchio, non è mai stata un simbolo del fascismo tra il 1919 e il 1945. Tuttavia è stata largamente adottata dall’estrema destra, prima francese e poi italiana, a partire dai primi anni Sessanta. E se la proposta Fiano contro gli emblemi fascisti diventasse legge, potrebbe cadere sotto i suoi fulmini. Paradossalmente però il primo a vietarne l’esposizione fu quarant’anni fa il segretario del Msi Giorgio Almirante, infastidito dall’uso che facevano della croce celtica i ragazzi più eterodossi del suo partito.
Lo ricorda Pietro Comelli nel libro Campo Hobbit 1977 (SpazioInAttuale, pp. 128, € 20): una pubblicazione illustrata e patinata, comprendente anche testi di Luciano Lanna e Giovanni Tarantino, che rievoca la stagione più creativa e scapigliata del neofascismo.
Benché il volume abbia un taglio piuttosto celebrativo e sorvoli sui successivi conflitti nell’ambiente giovanile missino (scandagliati invece dal più approfondito e critico libro La rivoluzione impossibile, edito da Vallecchi nel 2010 a cura di Marco Tarchi), colpiscono la spregiudicatezza e l’apertura che caratterizzavano all’epoca quel mondo, con spiccati interessi per la letteratura (Tolkien, ma non solo), il terzomondismo, l’ecologia, la musica, le tematiche femminili. Benché la violenza politica toccasse picchi oggi per fortuna lontanissimi, il senso critico e l’autoironia erano ben più diffusi.
Certamente ha contribuito a spegnerli la centralità del problema immigrazione, che ha polarizzato gli animi, reso profittevole la xenofobia e incentivato la destra, non solo estrema, a dare il peggio di se stessa. Ma l’impoverimento della politica giovanile va ben oltre. Le passioni degli anni Settanta erano autentiche e generavano idee, per quanto spesso sbagliate. Oggi invece, a destra ma anche a sinistra, tutto appare forzato e posticcio: dietro l’artificiosa riesumazione di tragiche conflittualità del passato, si scorge un vistoso vuoto di pensiero. Ancor più di un’ipotetica «onda nera», è questa regressione culturale che dovrebbe preoccupare.