Corriere della Sera - La Lettura
Camera con vista per le cugine Poi lei si fa libertina, l’altra suora
Ha compiuto cento anni il 21 dicembre, e ai suoi lettori e agli amici Diana Athill, in un’intervista al «Guardian», regala una lezione di vita: «Cercate di godervi la vita quanto potete, ma senza far del male a nessuno». Editor per oltre quattro decenni della casa editrice di André Deutsch («avrei potuto guadagnare molto di più, ma non sono mai stata il tipo che sa chiedere gli aumenti»), ha lavorato con Jean Rhys, Elias Canetti, V.S. Naipaul e tanti altri. Anche lei, nel frattempo, scriveva. Nel 1963 aveva pubblicato un romanzo autobiografico ( Sarebbe bastata una lettera, Bur, la storia del suo primo grande amore, Tony, che partì per la guerra e per due anni non le scrisse, salvo poi farle sapere che stava per sposare un’altra). Poi, nel 1969, dopo il suicidio del suo compagno, lo scrittore egiziano Waguih Ghali, scrive After a Funeral, con il proposito di chiudere i conti con una storia che non aveva mai funzionato (il libro sa- rà pubblicato solo negli anni Ottanta).
Dopo aver raggiunto la pensione, poi, ha cominciato a scrivere regolarmente, per raccontare episodi della sua lunga vita. «Mi avevano chiesto di scrivere sui personaggi incontrati nel mio lavoro, ho rifiutato. Volevo invece parlare della mia infanzia, di mia madre, degli amori, degli amici. Insomma, fatti e persone che mi avevano divertito, e comunque segnato». Il successo arriva dopo il 2000, con Stet prima e poi con Da qualche parte verso la fine, vincitore del Costa Award, tradotto in molti Paesi e in Italia da Rizzoli.
Da circa 9 anni vive in una casa di riposo: «Una decisione che mi spaventava, non riuscivo a distaccarmi dai miei oggetti, e soprattutto dai libri. Ma grazie a mio nipote ho fatto la selezione, 400 libri in tutto, e ora sono felice». Sta ancora scrivendo, ma intanto Bompiani traduce Viva!, una raccolta di «ricordi di viaggio e altre cose che contano», uscito nel 2015 in Gran Bretagna. Nei vari capitoli di questo memoir Diana Athill ricorda i suoi amori («ho sempre preferito avere amanti di colore piuttosto che bianchi») e la lunga relazione con il drammaturgo giamaicano Barry Reckord. Lui era felicemente sposato, lei non aveva nessuna intenzione di chiedergli di divorziare. «Nella vita non mi è mai piaciuto il ruolo della Moglie, ho sempre avuto quello dell’Altra Donna». Anche perché, aggiunge, tra le cose che la vita le ha insegnato, due sono state decisive: non essere mai troppo romantici, non essere mai possessivi.
Per Katharine Whitehorn, columnist dell’«Observer», Diana Athill «non mostra nessun pentimento anche se ha vissuto una vita che molte donne della sua classe e della sua epoca avrebbero giudicato estremamente riprovevole». Molte pagine sono dedicate alla madre, che ha continuato a vivere nel Norfolk fino alla fine. Da lei, morta ultranovantenne, Diana Athill dice di avere preso i geni della longevità. Negli ultimi anni di vi- ta, da sola in casa anche se aiutata da alcuni vicini, l a madre diventa un problema per Diana che lavora a Londra. Decide così di passare con lei tre giorni della settimana. È un’esperienza stressante che peraltro, confessa, non era servita a guarirla dai sensi di colpa. Accanto a quella donna anziana e sempre più fragile, comincia a pensare alla morte, e si ripete: L’importante non è quando si muore, ma come si muore. La madre ha avuto la fortuna di spegnersi senza soffrire, cosa che anche lei si augura.
A completare questa raccolta, Bompiani aggiunge il Diario fiorentino, pubblicato da Granta l’anno scorso. Sono pagine scritte nel luglio del 1947, durante il primo viaggio all’estero dopo la fine della guerra. Ritrovato tra carte dimenticate, il Diario racconta la visita di due ragazze inglesi, Diana e la cugina Pen, nella città del Rinascimento, nei luoghi che avevano richiamato già tanti loro connazionali. Sulle loro tracce (forse con l’aiuto di un Baedeker, comunque non citato) le due turiste passano in rassegna chiese musei monumenti panorami. A lasciare le impressioni più forti sono il Beato Angelico a San Marco, Benozzo Gozzoli a Palazzo Medici Riccardi e gli affreschi di Santa Croce. A San Lorenzo ammirano, ovviamente, le sculture di Michelangelo nella Sagrestia nuova, ma la cosa che le rapisce è la Cappella dei Principi, per l’abbondanza e magnificenza di marmi e intarsi. Tornano più volte a Fiesole, al Convento di San Francesco con vista su Firenze e soprattutto al Teatro Romano che regala loro un pomeriggio di beatitudine.
Anche se il viaggio è interminabile (treno, traghetto, treno, soste a Parigi e poi a Milano), Firenze ricompensa la fatica. Le prime notti le passano all’Hotel Bonciani di via Panzani, poi si trasferiscono in una pensione vicino all’Arno, molto in stile Camera
con vista. Con il cambio favorevole, tutto costa poco per gli inglesi. Ma soprattutto il cibo dà loro grandi soddisfazioni (frutta, pasticcini, vino), anche perché in Inghilterra ci sono ancora le razioni. Finita la vacanza, Diana torna a Londra da sola. Pen si trattiene ancora. Da quanto scrive la Athill nella introduzione, sappiamo che la cugina, in visita ad Assisi, deciderà di convertirsi al cattolicesimo e poi si farà suora. Diana invece, pochi anni dopo il ritorno, comincerà a lavorare nell’editoria, diventando una delle più importanti editor. E si costruirà una vita di donna libera da convenzioni e moralismi, in un’epoca in cui una scelta come la sua era giudicata «estremamente riprovevole».