Corriere della Sera - La Lettura

Qualcosa su Freud Il falso diario dei sogni

Psicoanali­si Stefano Massini torna a indagare le svolte del Novecento. Dopo i Lehman, adesso lo fa attraverso la figura dello studioso viennese. Mescolando e reinventan­do materiali onirici di diversa provenienz­a, mette al centro il percorso che ha portato

- Di CRISTINA TAGLIETTI

«Ogni sogno ha almeno un punto in cui è insondabil­e, per così dire un ombelico mediante il quale è collegato con l’ignoto» scrive Sigmund Freud in una nota nel secondo capitolo dell’Interpreta­zione dei sogni. È a questo ombelico che guarda Stefano Massini in L’interpreta­tore dei sogni, romanzo che solo apparentem­ente si presenta come un diario dello psicoanali­sta viennese, un falso-vero taccuino che procede per furti e appropriaz­ioni, in cui i sogni raccontati da Freud e dai suoi pazienti si mescolano con quelli dello stesso autore e con altri di pura invenzione letteraria. Una mise en abyme in cui Massini ruba, prima di tutto, un metodo, quella strana scienza che, come notava Cesare Musatti, vuole essere rigorosame­nte scientific­a presentand­osi però come strettamen­te autobiogra­fica, personale. Il sogno come luogo principe dell’io, come spazio legittimo e incontroll­abile di egocentris­mo— e di verità—è al centro di un’opera che, a oltre un secolo dalla sua rivoluzion­aria pubblicazi­one non smette di interrogar­ci e di offrirsi ad altre interpreta­zioni e valutazion­i.

Partendo da una semplice domanda — come sarà stato veramente l’incontro con i suoi pazienti? — Massini, che per sette anni ha lavorato al progetto, risale la corrente delle storie raccontate da Freud nel suo volume, lo coglie mentre cerca di elaborare le sue regole, mette alla prova il suo metodo, sciogliend­olo dalla parte teorico-scientific­a e lasciando soltanto il materiale umano. Il sogno si rivela celando e questo non è soltanto un punto di partenza della tecnica psicoanali­tica, ma anche uno straordina­rio meccanismo drammaturg­ico che lo scrittore sperimenta con sicurezza. A un anno dalla pubblicazi­one di Qualcosa sui Lehman con cui ha affrontato la sfida di raccontare l’economia e la finanza del Novecento attraverso la storia della dinastia che fondò la quarta banca d’America (fallita nel 2008), Massini non si piega al mainstream e scala un altro caposaldo del secolo breve ( L’interpreta­zione dei sogni venne pubblicato all’inizio di novembre 1899, ma l’editore Deiticke lo stampò con la data 1900, quasi a simboleggi­are un’epoca nuova che stava per arrivare). Nei Lehman era la lingua poetica, qui è quella dell’inconscio con cui Freud, «maestro del sospetto» insieme a Marx e Nietzsche (secondo la definizion­e di Paul Ricoeur), scardina l’unità del soggetto andando assai lontano nella comprensio­ne della vita interiore degli uomini.

Per indagare Freud che indaga i grovigli dell’animo umano, sfoglia le maschere della psiche e trasforma gli incubi in discorsi, Massini si acquartier­a ideal-

mente al numero 19 della Berggasse, l’indirizzo v viennese dove lo psicoanali­sta aveva il s suo studio (ma molti incontri sono a dom domicilio o nei reparti psichiatri­ci). Qui, in t trenta capitoli, Massini-Freud riceve dic diciassett­e sognatori — pazienti, famili familiari, colleghi, persone di servizio per perché per Freud i sogni di tutti ha hanno lo stesso valore — che entr trano ed escono tessendo con lui u un dialogo basato, fondamenta­lmente, sulla reticenza, sul non detto, sulla negazione. Anche s sulla censura. Negazione di se stessi, s prima di tutto, a cominciare da Freud-Massini, protagonis­ta del primo onirico capitolo che comincia com «Ero poco più di un bambino quando fui derubato di me stesso». L’analista L’ (o, più probabilme­nte, l’autore) sogna di avere un sosia, un altro se stesso a cui tutti si rivolgono: «Il sosia si stavap prendendo ogni cosa, chiamavano lui cc olmio nome, offrivano a lui il mio cibo cibo. Non c’ero più. Osservavo, sentivo, ved vedevo, ma per nessuno ero lì». O come la psicotica Tessa W. che dice «Io semplice sempliceme­nte non mi chiamo, perché anche se non mi chiamo, non mi trovo. E allora a che serve chiamarmi?», mentre Agatha, che «muore una volta ogni tre giorni», sogna di andare al mercato, di non rius riuscire a comprare da mangiare in nessuno dei tre banchi (pane, carne, pesce) e di tornare a casa senza cibo ma anche senz senza pesi («Sono sola: per non portarmi ad addosso fardelli, ho sempre scelto di non scegliere per non essere ostaggio di nessuno. Ma il tempo che ti scorre addosso non è comunque un peso anche quello ?» la costringe a interrogar­si Freud).

Disegni, comparazio­ni, scomposizi­oni, associazio­ni, analisi delle diverse versioni sono la lingua dell’analista e anche dello scrittore. Non è difficile immaginare il testo in scena (un’elaborazio­ne verrà rappresent­ata dal 23 gennaio al Piccolo Teatro Strehler di Milano con la regia di Federico Tiezzi) o anche in una serie tv: si parla molto e si vuole arrivare alla soluzione. L’enigma deve essere svelato, gli indizi non sono a portata di tutti ma, nelle mani giuste, possono diventare prove. «Siamo davanti a un meccanismo da smontare attribuend­o a ogni ingranaggi­o una funzione esatta e necessaria» spiega Freud.

Ci si arriva scalando, come suggerisco­no la fotografia di copertina e il ricorrere dell’immagine di una montagna in molti sogni del dottore e dei suoi pazienti. Valorizzar­e i materiali di scarto, dare voce all’inespresso, cercare la verità nei dettagli è la lezione di Freud. Vale per la vita e per la scrittura.

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