Corriere della Sera - La Lettura
Noi, generazione di mezzo «La pigrizia è utile»
Brunori Sas narra la sua generazione a teatro e in tv. Qui si confronta con il filosofo (quasi coetaneo) Mauro Bonazzi «Nella rapidità di oggi la nostra lentezza è una risorsa»
Generazione incompiuta, saltata, perduta. Immatura. Sono stati definiti in molti modi i quarantenni di oggi. A cavallo tra analogico e digitale, cresciuti nella società «solida», adulti in quella «liquida», stretti tra chi, nato prima, in Italia detiene il potere e chi, nato dopo, incalza con velocità da Millennial. Una «generazione di mezzo» spesso ritratta — notano tra gli altri Alessandro Rosina e Sergio Sorgi ne Il futuro che (non) c’è (Egea, 2017) — «un po’ troppo ingenerosamente, apatica, insensibile all’informazione o all’impegno sociale, precaria nel lavoro e nella vita, incapace di relazioni affettive stabili».
«Incerta» la racconta Dario Brunori, nato lui stesso nel 1977, nelle sue canzoni. E la racconterà a teatro, dal 16 febbraio in oltre trenta tappe, e in tv, da fine marzo, quando andrà in onda Brunori Sa, trasmissione-viaggio nell’Italia contemporanea (la cui sigla sarà il brano La vita liquida). Il titolo del programma è invece un gioco, a partire dal nome d’arte Brunori Sas (omaggio all’impresa edile dei genitori). «Sapere di non sapere, è quello che Brunori Sa», si legge socraticamente — e scherzosamente — nella presentazione delle puntate.
E così «la Lettura» ha messo davvero a confronto Brunori con Mauro Bonazzi, 44 anni, professore di Storia della filosofia antica all’Università di Milano. Ironia e pigrizia, una continua oscillazione tra profondità e leggerezza, esserci e schermirsi, sembrano costituire, alla fine, la peculiare modalità degli adulti «di mezzo» di mettersi al centro.
Che cos’è per voi l’incertezza?
MAURO BONAZZI — Rendersi conto di non avere punti di riferimento stabili.
BRUNORI SAS — È l’ansia per il futuro. Per vincerla tendo molto a pianificare. E invece a volte sarebbe meglio occuparmi, e non preoccuparmi, di quello che accade. Nei monologhi teatrali, che sul palco si alterneranno alle canzoni — tipo Gaber, ma peggio — cercherò di affrontare il tema a partire dal quotidiano. Da quel bivio che inizia ogni giorno con la sveglia: «Interrompi» o «Posponi». Poi ci saranno soprattutto i motivi del mio ultimo album, A casa tutto bene: la paura, la resistenza al cambiamento. E sì pure Zygmunt Bauman, da cui ho mutuato anch’io come molti l’espressione «vita liquida». Del suo pensiero mi colpisce soprattutto l’idea di una minaccia astratta, che non sappiamo da dove arrivi, e che contribuisce a provocare ancora più incertezza.
MAURO BONAZZI — Questo approccio c’è anche nelle tue canzoni. Alterni leggero e pesante. Non parli di incertezza in maniera solo negativa. A volte ti irrita profondamente, altre volte sembra un’occasione per vedere le cose diversamente, e magari cambiarle. Il tema dell’immigrazione ad esempio, che affronti ne L’uomo ne
ro, è sì un problema che va gestito ma può essere anche «alleggerito», vedendolo come un’opportunità. In caso contrario, si va solo verso i muri.
BRUNORI SAS — Spesso questa dialettica è già dentro la mia testa. Ne L’uomo nero parto dall’esperienza sulla linea 90 «quando ho temuto per la mia vita/ seduto su un autobus di Milano/ solo perché un ragazzino arabo/ si è messo a pregare leggendo il Corano». È più facile avere un pensiero progressista stando chiusi in casa, diverso è mantenerlo calandosi nella realtà. A quel punto però si può decidere di scappare oppure provare a sviluppare una visione delle cose più aperta. Leggera, appunto.
L’incertezza si è accentuata in questa fase storica?
BRUNORI SAS — Il problema per chi ha la mia età è che ci siamo preparati a un tipo di esistenza, il lavoro fisso, la casa di proprietà, e ce ne troviamo di fronte un’altro. La nostra condizione non rispecchia le aspettative con cui siamo cresciuti. C’è un bel libro, Teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura (Minimum Fax), sulla generazione che, nata borghese dai figli del boom, non riesce più a mantenere lo status dei genitori. Anche questo però può dischiudere possibilità, come il maggiore spazio per il lavoro creativo. Io sono laureato in Economia ma non trovavo niente di adatto ai miei studi. Così ho provato a fare quello che amavo di più.
MAURO BONAZZI — Il problema è che non siamo stati educati alla creatività ma a seguire una pista. Oggi però quella pista porta a un binario morto. E c’è la frustrazione di non essere riconosciuti. Creatività per me è darsi comunque molto da fare. A chi mi chiede se studiare filosofia, rispondo: «Sì, ma solo se le dedicherai tutto». Poi serve buttarsi, muoversi. Siamo stati abituati a uno stato di benessere in cui si poteva stare fermi, ma non è più così. In passato ci si è sempre mossi. Io sono
nato a Milano ma mio nonno era di Reggio Calabria. I cambiamenti adesso però sono più rapidi.
MAURO BONAZZI — È vero, la difficoltà di quest’epoca è soprattutto la velocità. La sensazione è che la tua preparazione sia sempre un passo indietro. Un tempo genitori e nonni ti insegnavano quello che ti serviva, e da qui nasceva il rispetto. Oggi mia figlia, pur senza averlo, usa il cellulare meglio di me.
BRUNORI SAS — Succede anche nella musica. Quando faccio un disco, il tempo che vorrei prendermi per approfondire rischia di rendere l’album obsoleto. Così bisogna essere rapidi, pur preservando la qualità. Oggi la fruizione dei ragazzi assomiglia più a un assaggiare tutto che non allo scovare quanto c’è di più buono.
MAURO BONAZZI — In realtà però nelle tue canzoni tu pensi, rimugini. Ci sono uno spirito mediterraneo di lentezza, un’ondeggiare avanti e indietro tra spinte contrapposte, che secondo me sono utili a far germinare i contenuti. La pigrizia è la nostra forma di resistenza, è un modo per reclamare se stessi per se stessi.
BRUNORI SAS — Sì, ma è indubbio che la velocità si stia diffondendo. Pensa alle relazioni via social. Ho intervistato diversi ragazzi per la trasmissione: dicono di preferire i rapporti in carne e ossa, però poi si adeguano al virtuale. Li toglie dall’imbarazzo ma forse alla fine fa aumentare l’incertezza sulla relazione stessa, sulla sua solidità. E l’approccio si è diffuso anche tra gli adulti.
MAURO BONAZZI — Di primo acchitto mi verrebbe da dire che è un cambiamento negativo. Ma forse è solo