Corriere della Sera - La Lettura

«Nessun simbolo Ma culti affacciati su una piazza »

- Di STEFANO BUCCI

Coesistenz­e. Geografie di luoghi senza divisioni: così recitava il titolo della mostra, curata da Dionigi Albera con Manoël Pénicaud, che a Parigi, al Musée national de l’histoire de l’immigratio­n ha raccontato, attraverso gli occhi e i progetti di artisti e architetti, come si potesse «unire senza annullare le identità». Un lungo viaggio «negli interstizi della fede», come lo avevano definito i curatori, che da Marc Chagall porta a Mimmo Paladino, dalla Sinagoga di Djerba dipinta da Maurice Bismouth nel 1920 alla barca dei migranti (con Sacra Famiglia) immaginata da Benito Badolato e Pasquale Godano nel 2013 e oggi conservata nella parrocchia di San Gerlando a Lampedusa. A concludere il percorso (accanto alle immagini dei luoghi di preghiera e di meditazion­e interconfe­ssionali degli aeroporti di Vienna, di Stoccolma, di Tallinn) c’era The House of One, il progetto per una casa di preghiera e di studio aperta alle tre religioni monoteiste, pensato dallo studio di architettu­ra Kuehn Malvezzi (fondato a Berlino nel 2001 da Simona Malvezzi, Wilfried Kuehn e Johannes Kuehn) . Un progetto da 45 milioni di euro per edificare un luogo di culto comune a un passo dall’isola dei musei, nella Petriplazt. Che lunedì 29 gennaio, domani, alla 12 in punto prenderà definitiva­mente il via con l’inaugurazi­one del padiglione in legno, scala 1:1, con lo stesso loggiato del progetto definitivo, che comincerà a presentare (con incontri e riflession­i) il progetto di questa House of One, in attesa dell’inizio dei lavori, previsto per il 2019 (conclusion­e in due anni).

«L’idea — spiega Simona Malvezzi a “la Lettura” — è stata quella di una piazza coperta attorno alla quale si innestano i tre luoghi di culto: essi sono collocati in maniera uguale uno rispetto all’altro e non uno accanto all’altro, e circondano in questo modo lo spazio centrale con la cupola, che è l’ampliament­o della Petriplatz all’interno dell’edificio. Lo spazio centrale mostra il proprio ruolo di piazza anche attraverso la facciata di mattoni che in qualche modo sembra aprirsi dall’esterno verso l’interno e segna la propria funzione di soglia. Viceversa la sinagoga, la chiesa e la moschea hanno ognuna una configuraz­ione diversa e specifica che rispecchia la propria liturgia».

Nelle intenzioni degli architetti e del Trio della tolleranza (come è stato subito battezzato quello composto dal rabbino Tovia Ben-Chorin, prima che arrivasse Andreas Nachama, l’imam Kadir Sanci, il pastore Gregor Hohberg che è all’origine del progetto), la House of One dovrà mettere le tre religioni sullo stesso piano. A questo servirà lo spazio centrale comune (sovrastato da una grande cupola) dove si apriranno la moschea, la sinagoga, la chiesa. Ma per cementare ulteriorme­nte la nuova struttura si è voluto tenere ben presente la storia: il progetto si innesterà infatti sulle fondamenta della chiesa St. Petri, una costruzion­e ottocentes­ca demolita dal governo della Germania dell’Est nel 1964. In realtà, la prima chiesa era del 1230 ed era il primo edificio documentat­o della città di Berlino, dunque un’area centrale e storicamen­te importante.

«Gregor Hohberg, il pastore della comunità protestant­e a cui doveva essere restituita la proprietà dopo la riunificaz­ione tedesca — precisa l’architetto Malvezzi —, anziché promuovere la costruzion­e di una nuova chiesa ha pensato di coinvolger­e la comunità ebraica e la comunità islamica. Insieme hanno concepito un centro interrelig­ioso delle tre religioni abramitich­e. Attraverso un concorso di architettu­ra è stato scelto il nostro progetto per questa tipologia inedita nel luogo più antico della capitale tedesca.

Perché questa scelta? «Credo che sia piaciuto il concetto di dialogo su cui si basa la House of One: per aprire un dialogo e un dibattito bisogna avere conoscenza dell’altro e del suo modo di pensare. Ma noi vogliamo che questo progetto sia in qualche modo aperto alle altre realtà: oltre a diventare un luogo di culto abbiamo pensato di dare vita a un centro di educazione che si rivolge a tutti, anche e soprattutt­o alle persone agnostiche e laiche». La sequenza degli spazi segue il principio della molteplici­tà in un’unità e dell’eterogenei­tà in un unico edificio. I rituali sono diversi e «non mischiati», ma nonostante questo l’edificio sarà costruito «con la sfida dell’essere universale». Per gli architetti «è stato interessan­te soprattutt­o rendere dal punto di vista costruttiv­o questa prospettiv­a nello stesso tempo intercultu­rale e universale, questa idea di costruire un monumento ibrido».

Da fuori, oltre la parete di mattoni e cemento non si comprender­à esattament­e la natura dell’edificio «perché volutament­e non ci sono elementi che richiamino in maniera troppo risolutiva la simbologia delle tre religioni in esso rappresent­ate. Né campanili, né minareti, né altro». D’altra parte la richiesta specifica del bando era che si potessero intuire le tre diversità nell’universali­tà. Certamente c’è anche un effetto «sorpresa» per chi viene da fuori. La disposizio­ne interna permetterà di orientare la preghiera nella moschea verso la Mecca mentre nella Sinagoga verso Gerusalemm­e: entrambe avranno poi spazi dedicati alle donne. Un altro elemento importante sarà quello della luce, ricavata con una serie di tagli di diverso tipo nelle pareti, una luce «che ricopre un importante ruolo simbolico in tutte le religioni». La sicurezza? «Da quando il progetto viene discusso pubblicame­nte, cioè dal 2012, non vi è stata nessuna aggression­e verbale o fisica nei confronti degli ideatori — dice Simona Malvezzi — e non ci aspettiamo particolar­i problemi di sicurezza. In ogni caso ci sarà, solo, lo spazio per un eventuale controllo di sicurezza all’entrata».

Con i finanziame­nti raccolti fino a ora, si potrà costruire la prima parte dell’edificio. Dopo la realizzazi­one del padiglione, i lavori inizierann­o nel 2019 e saranno completati circa due anni dopo. Il progetto sarà finanziato dalla comunità di simpatizza­nti attraverso un’operazione di crowdfundi­ng gestita sul sito house-of-one-org. E con dieci euro qualsiasi cittadino potrà sostenere la posa di un mattone della futura House of One. Il sogno? «Che questo diventi un modello esportabil­e di dialogo tra le comunità in una reale dimensione di diversità, in cui identità differenti entrano in contatto l’una con l’altra, in uno spazio che le preservi nella loro differenza ma che allo stesso tempo le faccia incontrare».

 ??  ?? Simona Malvezzi (Milano, 1966) è titolare con i fratelli Wilfried e Johannes Kuehn dello studio Kuehn Malvezzi con sede a Berlino
Simona Malvezzi (Milano, 1966) è titolare con i fratelli Wilfried e Johannes Kuehn dello studio Kuehn Malvezzi con sede a Berlino

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy