Corriere della Sera - La Lettura
Golem, E. T. e le superstar del subconscio
Mutazioni:
Il cinema dei mostri, degli zombie, delle creature di questo e altri mondi, degli ultracorpi, con tutte le letture metapolitiche delle guerre fredde e calde, dei morti viventi che ci rovinano i simboli del benessere come i supermercati, hanno terrorizzato decine di milioni di spettatori. I mostri sono gigantesche superstar del subconscio, a cominciare dal Golem del 1916, famosa leggenda yiddish. Non a caso Fellini ebbe il suo battesimo al Fulgor con Maciste all’inferno: l’emozione del piacere e della paura uniti indissolubilmente.
La grande stagione del cinema «mostruoso» inizia negli anni Trenta e ha anche un marchio, l’Universal, che distribuì cicli e serie di Frankenstein, Dracula, l’Uomo Lupo e la Mummia, personaggi che ciclicamente torneranno a popolare i nostri incubi, prima con Bela Lugosi e Boris Karloff, mostri vittime di sé stessi, poi Christopher Lee (vampiro assetato d’amore), Vincent Price, arrivando al lupo mannaro americano di Landis e alle Mummie di Brendan Fraser e Cruise. Per non essere da meno la Mgm rispose nel 1932 con Freaks, catalogo di deformità alla Wonder (campione d’incassi di Natale); e si proseguì con le serie di Godzilla, trash e cult, trionfo del B movie che viene dal Giappone.
Ma è la scoperta della psicoanalisi che dà linfa al genere in nome della trasversalità delle pulsioni e tutte le variazioni sul dr. Jekyll e altri mostri con doppia personalità, dal 1908 in poi, sono farina anche del prof. Freud. Partiti per aumentare il tasso di adrenalina, i monster movie acquistano altre valenze: il Rocky horror show, musical teatrale, porterà in dote la liberalizzazione trans del sesso dopo il ’68 e Spielberg ci darà dentro con le paure dell’ignoto della classe media, prima con gli Squali e poi con E.T. e altri incontri ravvicinati, sempre molto democratici.
Gli effetti speciali, negli ultimi anni, aiutano assai nelle orrende mutazioni fantagenetiche: La mosca ma anche il rimpicciolimento degli esseri umani a 12 centimetri come accade a Matt Damon in Downsizing, mentre Lynch parte in quarta con Elephant man, mostruoso davvero senza colpa e senza inganni, seguendo poi la segnaletica del mistero, dell’oscuro, dell’ignoto. Soprattutto ci si è accorti che non sempre il mostro doveva essere cattivo, ma a volte lo disegnavano così: c’è il mostro innamorato e carente di affetto (pure qui lo zampino psicofreudiano dei sogni), e quindi ecco King Kong che, nel corso del tempo dal 1933 al 2005, vorrebbe rapire belle bionde, da Fay Wray a Jessica Lange a Naomi Watts. Il modello del mostro carente di affetto torna con clamore recuperando fonti letterarie ( Il gobbo di Notre Dame, immenso Charles Laughton), vari fantasmi dell’opera e poi del palcoscenico, fino al recente La forma dell’acqua.
Con un certo snobismo e ampia facoltà metaforica, The Square del geniale fustigatore di costumi Östlund porta nel party elegante radical l’Uomo scimmia (trapasso darwiniano razionalizzato da Kubrick in 2001 e dalla serie del Pianeta delle scimmie), espressione di tutti i nascosti desideri che non si servono in tavola ma hanno bisogno di essere camuffati (vedi Arrival di Denis Villeneuve, con ignoti visitatori e uno studio sul linguaggio alla Wittgenstein). Così come san Fellini profeta nel finale della Dolce vita aveva riassunto la sua commedia umana nell’immagine indimenticabile della mostruosa balena-mostro arenata sulla spiaggia dove Marcello alza gli occhi, dà uno sguardo e passa oltre.