Corriere della Sera - La Lettura

Armonie in minore per l’abbraccio alla Creatura

- Di GIAN MARIO BENZING

Le streghe ci mettono in guardia: nel Macbeth di Verdi, inizio del III atto, si levano dalle nere nebbie del mi minore, su un minaccioso unisono di oboi, clarinetti e fagotti e l’iconico intervallo di settima diminuita. Mescolano, in una pozione, rospo venefico, lingua di vipera, cuore di eretico, perfino il «dito d’un pargolo/ sgozzato nel nascere» e altri sapidi ingredient­i sdruccioli. Ma attenzione: chi è qui il vero mostro? Le mostruose femmine barbute o il baldo re scozzese, assassino e codardo? E in Mozart, il mostro è la gelida statua-zombi del Commendato­re, che tende la mano fatale su un lento, spaventoso incedere per quinte e ottave, in re minore, o piuttosto quel fascinoso briccone di Don Giovanni?

Il modo con cui la grande musica dipinge i suoi mostri può essere ambiguo. Ci sono, è vero, delle costanti. Tutta la storia dell’opera, con punte nel Barocco e nel Romanticis­mo, è popolata da creature mostruose, specie mitologich­e (esempio, nell’Idomeneo di Mozart), presenti o evocate, comunque rese da una tavolozza linguistic­a via via molto codificata, fatta di esplosioni accordali in tonalità minore, tremoli vorticosi, armonie dissonanti, cromatismi diabolici, al confine con la pittura dell’«orrido» o del sovrannatu­rale.

Pane al pane, mostro al mostro. Rousseau trovò déchirant, «lacerante» la solennità del grido delle Furie nell’Orfeo ed Euridice di Gluck. Marschner abbonda di armonie lugubri nel suo Der Vampyr. I balzi improvvisi dello Gnomo, l’impeto «feroce» di settime e trìtoni della strega Baba Yaga, nei Quadri di una esposizion­e di Musorgskij, rendono quasi simpatici i tinnuli guizzi del Vodnik, maligno spiritello delle acque, o la tetra apparizion­e della Polednice, la Strega del Mezzogiorn­o, con l’assolo del clarinetto basso, nei due bozzetti sinfonici di Dvorák. E così via, fino alla ridda sghemba e tagliente del Mago Kashej, nell’Uccello di fuoco di Stravinski­j.

Di altri «mostri», invece, la musica vela e svela insieme la natura. Gli sfolgorant­i picchietta­ti della Regina della Notte nel Flauto magico di Mozart dicono tutta la sua perfidia; il tono da brillante charmeur dei vari Mefistofel­e (in Boito o in Gounod) copre la loro natura demoniaca. Solo l’ossessivo galoppo delle terzine, dal basso, denuncia quanto sia letale l’Erlkönig, nel celebre Lied di Schubert. Il difforme Rigoletto è un padre disperato. Nel Ring di Wagner, sembra ben più mostro Hunding che non il cavernoso drago Fafner, il cui sangue, anzi, aiuta Siegfried a «capire»...

Succede, infatti, che vari mostri siano, a ben vedere, messaggeri di un Altrove sorprenden­te, ovvero «ammonitori» degli umani. Del resto, il latino moneo, da cui monstrum, significa appunto «far pensare», stessa radice indoeurope­a dell’inglese man, «uomo» come «essere pensante». Quanti mostri buoni canta la grande musica. Nella Leggenda della Bella Melusina, stupendame­nte resa da Mendelssoh­n, la pittura in negativo, il tumulto degli archi in fa minore, è per Raimund, l’umano traditore, mentre lei, la sirena che ama e soffre, vibra sui doppi arpeggi dei clarinetti e dei flauti in fa maggiore. Simile, in Lortzing, il contrasto fra gli staccati sferzanti di Hugo e la barcarola della ninfa Undine. Sembra un mostro, all’inizio, la strana sirena che, d’improvviso, nel Lied Der Fischer («Il pescatore») di Schubert, su versi di Goethe, si leva dalle acque: in realtà la creatura canta soave e addita all’uomo le meraviglie del mondo marino, buono e puro, su ondeggiant­i sedicesimi in si bemolle maggiore. E quando finisce con l’attirarlo a sé, nei flutti della redenzione, ci lascia nel dubbio: non è forse stato lui a gettarsi tra le sue braccia?

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