Corriere della Sera - La Lettura
Armonie in minore per l’abbraccio alla Creatura
Le streghe ci mettono in guardia: nel Macbeth di Verdi, inizio del III atto, si levano dalle nere nebbie del mi minore, su un minaccioso unisono di oboi, clarinetti e fagotti e l’iconico intervallo di settima diminuita. Mescolano, in una pozione, rospo venefico, lingua di vipera, cuore di eretico, perfino il «dito d’un pargolo/ sgozzato nel nascere» e altri sapidi ingredienti sdruccioli. Ma attenzione: chi è qui il vero mostro? Le mostruose femmine barbute o il baldo re scozzese, assassino e codardo? E in Mozart, il mostro è la gelida statua-zombi del Commendatore, che tende la mano fatale su un lento, spaventoso incedere per quinte e ottave, in re minore, o piuttosto quel fascinoso briccone di Don Giovanni?
Il modo con cui la grande musica dipinge i suoi mostri può essere ambiguo. Ci sono, è vero, delle costanti. Tutta la storia dell’opera, con punte nel Barocco e nel Romanticismo, è popolata da creature mostruose, specie mitologiche (esempio, nell’Idomeneo di Mozart), presenti o evocate, comunque rese da una tavolozza linguistica via via molto codificata, fatta di esplosioni accordali in tonalità minore, tremoli vorticosi, armonie dissonanti, cromatismi diabolici, al confine con la pittura dell’«orrido» o del sovrannaturale.
Pane al pane, mostro al mostro. Rousseau trovò déchirant, «lacerante» la solennità del grido delle Furie nell’Orfeo ed Euridice di Gluck. Marschner abbonda di armonie lugubri nel suo Der Vampyr. I balzi improvvisi dello Gnomo, l’impeto «feroce» di settime e trìtoni della strega Baba Yaga, nei Quadri di una esposizione di Musorgskij, rendono quasi simpatici i tinnuli guizzi del Vodnik, maligno spiritello delle acque, o la tetra apparizione della Polednice, la Strega del Mezzogiorno, con l’assolo del clarinetto basso, nei due bozzetti sinfonici di Dvorák. E così via, fino alla ridda sghemba e tagliente del Mago Kashej, nell’Uccello di fuoco di Stravinskij.
Di altri «mostri», invece, la musica vela e svela insieme la natura. Gli sfolgoranti picchiettati della Regina della Notte nel Flauto magico di Mozart dicono tutta la sua perfidia; il tono da brillante charmeur dei vari Mefistofele (in Boito o in Gounod) copre la loro natura demoniaca. Solo l’ossessivo galoppo delle terzine, dal basso, denuncia quanto sia letale l’Erlkönig, nel celebre Lied di Schubert. Il difforme Rigoletto è un padre disperato. Nel Ring di Wagner, sembra ben più mostro Hunding che non il cavernoso drago Fafner, il cui sangue, anzi, aiuta Siegfried a «capire»...
Succede, infatti, che vari mostri siano, a ben vedere, messaggeri di un Altrove sorprendente, ovvero «ammonitori» degli umani. Del resto, il latino moneo, da cui monstrum, significa appunto «far pensare», stessa radice indoeuropea dell’inglese man, «uomo» come «essere pensante». Quanti mostri buoni canta la grande musica. Nella Leggenda della Bella Melusina, stupendamente resa da Mendelssohn, la pittura in negativo, il tumulto degli archi in fa minore, è per Raimund, l’umano traditore, mentre lei, la sirena che ama e soffre, vibra sui doppi arpeggi dei clarinetti e dei flauti in fa maggiore. Simile, in Lortzing, il contrasto fra gli staccati sferzanti di Hugo e la barcarola della ninfa Undine. Sembra un mostro, all’inizio, la strana sirena che, d’improvviso, nel Lied Der Fischer («Il pescatore») di Schubert, su versi di Goethe, si leva dalle acque: in realtà la creatura canta soave e addita all’uomo le meraviglie del mondo marino, buono e puro, su ondeggianti sedicesimi in si bemolle maggiore. E quando finisce con l’attirarlo a sé, nei flutti della redenzione, ci lascia nel dubbio: non è forse stato lui a gettarsi tra le sue braccia?