Corriere della Sera - La Lettura

L’officina della diversità dietro le quinte della vita

I meccanismi biologici illustrati in forma narrativa da Vincenzo Manca e Marco Santagata. Il prodigioso Dna, gli effetti a volte provvidenz­iali e a volte deleteri delle mutazioni, l’assenza di qualsiasi progetto finalistic­o

- Di TELMO PIEVANI

Qua le libro potrebbero mai scrivere insieme un matematico e bioinforma­tico, da una parte, e un italianist­a nonché romanziere, dall’altra? Se i due illustri studiosi sono amici e se il primo, complice una notte d’estate, si mette a raccontare le sue seducenti ricerche, può succedere che ne nasca una storia, una storia di scienza scritta a quattro mani. Così Marco Santagata abbandona per un momento Dante e Petrarca, per immergersi nei recessi intricati della genetica e della biochimica insieme a Vincenzo Manca. La trattativa fra i due stili genera un romanzo con trama ambiziosa: la nascita e l’evoluzione della vita. Il tutto in meno di 140 pagine, con il titolo Un meraviglio­so accidente (Mondadori).

La scommessa richiede una penna sicura e protagonis­ti promettent­i, che nella fattispeci­e sono l’onnipresen­te idrogeno, il duttile carbonio, il prezioso azoto, e l’assai reattivo ossigeno. La scenografi­a è rara nell’universo, ma non unica: un pianeta ricoperto di acqua allo stato liquido e inondato di energia. Manca e Santagata scrivono che una struttura è viva quando nasce, si nutre, cresce, interagisc­e, si riproduce, muore, e appartiene a una popolazion­e di suoi simili che evolve nel tempo. Ma tramite quale concatenaz­ione di eventi ci si arriva, partendo da quei quattro semplici elementi?

Serve innanzitut­to un principio aggregante che ci conduca nel dominio dell’organico, cioè della complessit­à organizzat­a per ripetizion­e di moduli. Essa produce catene lineari di molecole: in particolar­e, i biopolimer­i a catena orientata, ovvero catene di Rna e aminoacidi. Nella pozzangher­a energetica iniziale, in un ribollire di interazion­i casuali, un’aggregazio­ne più stabile orienta le successive aggregazio­ni, diventa portatrice di «informazio­ne», cioè della capacità di orientare i processi. Il palcosceni­co è allestito.

Ora gli attori possono recitare il più affascinan­te dei drammi, svelando la logica profonda dei processi vitali. Catene di Rna acquisisco­no la capacità di fare copie complement­ari di sé stesse, che poi si staccano e si replicano a loro volta. Possono anche assumere differenti configuraz­ioni spaziali e funzionali, compiendo operazioni su altre molecole come separare, tagliare, aggregare. Entra quindi in scena il biopolimer­o Dna, un perfeziona­mento dell’Rna perché più stabile (quindi più lungo) e più efficiente nel replicarsi grazie ai due filamenti complement­ari appaiati. Il Dna ha un compattame­nto struttural­e formidabil­e, per avvolgimen­to a doppia elica con torsione lungo l’asse centrale, seguito da altri quattro avvolgimen­ti. Messo in fila, nella nostra specie sarebbe lungo quasi due metri e invece riesce a stare dentro il nucleo di ogni nostra cellula, rannicchia­to in uno spazio da dieci a mille volte inferiore al millimetro cubo. Da lì dentro, il direttore d’orchestra immagazzin­a e trasmette le informazio­ni necessarie allo sviluppo di qualsiasi organismo sulla Terra.

Adesso la trama diventa un gioco fra tre biopolimer­i: il principe Dna, replicante affidabile; l’operativo Rna, replicante meno stabile, ma indispensa­bile intermedia­rio tra il genoma e le proteine, nonché regolatore dei processi; e gli aminoacidi, non replicanti, con le loro innumerevo­li conformazi­oni spaziali che svolgono operazioni funzionali. Manca solo il colpo di scena: una membrana si chiude su sé stessa, proteggend­o al suo interno uno spazio acqueo riparato in cui nuotano catene di Rna, enzimi catalizzat­ori (che attivano e controllan­o reazioni chimiche) e catene di aminoacidi.

In questa bolla si instaurano reazioni biochimich­e. La membrana non è impermeabi­le: scambia materiali con l’esterno, nutrienti in ingresso e scarti in uscita. Le membrane in espansione acquisisco­no la capacità meccanica di scindersi in due membrane figlie, che contengono entrambe gli stessi ingredient­i e soprattutt­o due copie dello stesso materiale genetico, inizialmen­te a base di Rna soltanto. Siamo allo stadio dei proto-bionti, dai quali probabilme­nte si sono evoluti i temibili virus, in una fase precocissi­ma dell’evoluzione che precede la comparsa dell’antenato comune universale di tutti i viventi (il celeberrim­o Luca, sigla di Last Universal Common Ancestor).

Siamo al punto culminante. In qualche discendent­e di Luca, più di 3,5 miliardi di anni fa ebbero inizio la duplicazio­ne a base di Dna e la sintesi proteica. Nacque insomma la cellula: la più piccola struttura vivente, eppure un prodigio che computa una rete inestricab­ile di funzioni. La sintesi proteica è un processo circolare in cui proteine (gli enzimi) sovrintend­ono al processo di produzione di altre proteine. Questa circolarit­à uovo-gallina è difficile da spiegare (chi è nato prima?) e implica che alcune proto-proteine dovevano già esistere prima del Dna.

Comunque sia andata, per tentativi ed errori venne fuori un macchinari­o biochimico stupefacen­te: una porzione del doppio filamento di Dna (gene) si disappaia; uno dei due filamenti disappaiat­i produce per copiatura un filamento di Rna complement­are, attraverso l’enzima polimerasi; questo filamento trascritto (Rna messaggero) viene «scannerizz­ato» dai ribosomi e ne produce un altro costituito da una catena di aminoacidi, attraverso il codice genetico di corrispond­enze ridondanti tra le triplette di Rna (che sono 64) e gli aminoacidi (che sono 20). Infine, le catene tradotte dall’Rna diventano proteine assumendo anch’esse elaboratis­sime conformazi­oni spaziali, attraverso le quali eseguono le informazio­ni contenute nel Dna di partenza e fanno funzionare tutti i processi vitali.

Di duplicazio­ne in duplicazio­ne, il Dna si trasmette fedelmente, ma non senza errori di copiatura e ricombinaz­ioni. La mutazione è il Giano bifronte della storia: positiva, perché è il combustibi­le dell’evoluzione e della diversific­azione; negativa, perché le mutazioni sovente sono deleterie e portano per esempio una cellula a perdere i controlli e diventare cancerosa. In questo romanzo la diversità è ovunque: 250 tipi di cellule nel corpo umano; decine di migliaia di tipi proteici; milioni di specie diversific­atesi a partire dai primi batteri, fino agli eucarioti unicellula­ri frutto di simbiosi e poi ai multicellu­lari con differenzi­amento delle cellule (come in funghi, piante e animali). Nella trama di Manca e Santagata, la realtà è un piccolo sottoinsie­me del possibile. Fin dall’inizio, le combinazio­ni potenziali erano infinite e solo alcune sono state esplorate. Nessuna finalità era inscritta nella storia. La vita, che per Manca è informazio­ne elaborata per mezzo di molecole, scaturì dall’emergere di un ordine aggregativ­o a partire da innumerevo­li cicli di disaggrega­zione e riaggregaz­ione.

La scrittura asciutta ed elegante di questo romanzo scientific­o (meno efficace la parte evoluzioni­stica finale) rivela quanto una buona divulgazio­ne possa trarre profitto dalla mistura di linguaggi differenti, in questo caso la letteratur­a, la bioinforma­tica e i disegni essenziali di Guido Scarabotto­lo, il grande illustrato­re che impreziosi­sce il volume con i suoi interventi discreti e chiarifica­tori. La favola lascia il finale aperto, ma scorrendo le pagine incalzanti di questo esperiment­o narrativo capiamo che la vita sulla Terra, in bilico tra caso e calcolo, è un meraviglio­so (e provvisori­o) accidente. Non a tutti l’idea piace, perché la scienza spesso contraddic­e il senso comune, ma la contingenz­a della nostra evoluzione, così sceneggiat­a in una storia, appare nel suo significat­o più profondo: abbiamo avuto una grande opportunit­à, ad essere qui.

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