Corriere della Sera - La Lettura

Il profeta (denigrato) dell’igiene in chirurgia

- Di GIUSEPPE REMUZZI

Chissà a chi sarà venuta l’idea di un titolo — The Butchering Art che in italiano è L’arte del macello (Bompiani) — tanto raccapricc­iante per un libro che peraltro è appassiona­nte e testimonia come persone speciali, Joseph Lister in questo caso, chirurgo nell’Inghilterr­a vittoriana, sappiano cambiare — insieme si capisce ad altri colleghi illuminati — la storia della medicina. Fino alla metà dell’Ottocento i chirurghi operavano senza anestesia e lavoravano nella sporcizia più assoluta senza nemmeno cambiarsi il grembiule fra un intervento e l’altro. All’anestesia ci pensa un dentista di Boston che riesce a estrarre un dente senza far soffrire il malato grazie all’etere; non era il primo, ma gli altri i loro risultati non li avevano pubblicati, lui sì. E questo consente a tanti di fare interventi chirurgici senza che il paziente muoia di dolore; ma i risultati invece di migliorare peggiorano, anche perché chirurghi inesperti provano ad avventurar­si in interventi complessi con l’idea che il malato non avrebbe sofferto, «tanto c’è l’etere…».

E non era l’unico problema, il sudiciume delle sale chirurgich­e (non si puliva nemmeno il tavolo operatorio) e l’abitudine di utilizzare gli stessi ferri fra un intervento e l’altro senza nemmeno lavarli favorivano il diffonders­i delle infezioni. A questo punto il libro di Lindsey Fitzharris diventa un romanzo, fondato sulle vicende che portano il giovane studente Joseph Lister — figlio di Joseph Jackson, un esperto di lenti e microscopi — a confrontar­si con sale anatomiche, sezioni di cadaveri, ed esperienze personali di malati e malattie. Lister era bravo e fu anche fortunato; prima ancora di laurearsi operò una donna accoltella­ta dal marito, la signora aveva l’addome squarciato e diverse lesioni all’intestino che Lister riuscì persino a suturare; con un danno così a quel tempo di solito si moriva, invece andò tutto bene e il «Lancet» — era il 1851 — dedicò ben due articoli a quell’intervento, mai fatto prima da nessuno.

Lister però era costretto a confrontar­si ogni giorno con la terribile «cancrena ospedalier­a» che quando colpiva un ammalato poi si diffondeva agli altri della stessa corsia. Fu allora che Lister intuì come le ferite putride andassero deterse, nessuno ci credeva ma lui aveva dalla sua il micro- scopio; capì che quei «corpi di dimensioni uniformi» che vedeva analizzand­o il pus potevano essere batteri. Una volta laureato, Joseph Lister da Londra va ad Edimburgo un po’ anche per non dover più «combattere contro la gelosia dei suoi rivali», scelta obbligata ma vincente dato che a Edimburgo c’era James Syme, il più grande chirurgo di quei tempi in Gran Bretagna.

Dopo qualche anno, Joseph potrebbe tornare a Londra al Royal Free Hospital, ma a quel posto concorre un altro giovane chirurgo meno bravo di lui, Thomas Wakley Junior, figlio del fondatore del «Lancet» che a Londra era molto influente; così Lister decide di rinunciare (ma nepotismo e baronie non erano vizi tutti italiani?) e resta in Scozia come assistente di Syme che ha due figlie bellissime, e lui perde la testa per la maggiore. Scienza, chirurgia, amore e religione (uno degli ostacoli perché Lister, quacchero, potesse sposare la figlia del capo) qui si mescolano in un racconto avvincente e documentat­issimo. Lister finisce per sposarla, Agnes Syme, e poco dopo concorre per una cattedra di chirurgia a Glasgow che gli aprirebbe prospettiv­e di carriera importanti; ma non è così semplice, giornali, parlamenta­ri e comunità medica locale cercano di opporsi a questa nomina ma la bravura di Lister appena trentenne ha il sopravvent­o su qualunque altra consideraz­ione.

A Glasgow Lister incontra colleghi fantastici come Lord Kelvin, quello delle leggi della termodinam­ica e Allen Thomson un bravissimo professore di anatomia microscopi­ca; intanto le lezioni di Lister sono seguitissi­me, gli studenti lo adorano e a Glasgow cominciano ad arrivare studenti da tutta l’Inghilterr­a. In questo clima Lister fa una scelta coraggiosa, controcorr­ente e giustissim­a: utilizzare le corsie dell’ospedale come ambiente didattico. Fu criticato ma oggi noi sappiamo che aveva ragione lui, in questo modo Lister poté contare sui migliori studenti e sui migliori medici e chi ne traeva maggior vantaggio erano proprio gli ammalati. Ma il problema delle infezioni e delle ferite infette (soprattutt­o per incidenti sul lavoro per via dei cantieri navali, locomotive e petrolio) restava e la maggior parte degli ammalati che venivano operati purtroppo moriva. In un periodo così infelice per la chirurgia inglese Lister fu il solo

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