Corriere della Sera - La Lettura
Thuram guida al museo dà lezioni di tolleranza
Cortocircuiti Il calciatore campione del mondo nel 1998, oggi autore che ha fatto dell’antirazzismo un impegno, accompagna tra le opere del pittore Delacroix una classe di liceali di Sarcelles, cittadina segnata dalla crisi identitaria francese. «Ecco che
La visita al museo può essere uno dei momenti più angosciosi di un anno scolastico. Una quantità enorme di buone intenzioni — prodotte da insegnanti, curatori di mostre, ragazzi — vengono sottoposte alla crudele prova di realtà. Quanti adolescenti messi finalmente a contatto diretto con la Cultura schiuderanno le loro anime all’arte? Quanti Martin Eden scopriranno di avere bisogno solo di «bellezza, cultura intellettuale e amore»? Quante ragazzine reagiranno come Pretty Woman — «Le è piaciuta l’opera, cara? Oh, mi si sono aggrovigliate le budella!» — al cospetto della prima Traviata?
Eppure è uno sforzo che va fatto. Perché è giusto, e perché provare a rompere le barriere è un valore in sé. Così, un pomeriggio di gennaio, Lilian Thuram, grande difensore della Juventus e della Francia campione del mondo nel 1998, indossa la maglia di guida turistica a Saint Germain-des-Près per un gruppo di liceali di Sarcelles, la cittadina di periferia a un’ora di metropolitana da Parigi. Se c’è una persona che può vincere la diffidenza di venti ragazzini, quella è l’ex calciatore Thuram. Amichevole, spiritoso, senza strafare.
«Sentitevi a casa vostra», dice. «Insomma, non esagerate», aggiunge subito. Con la sua Fondazione contro il razzismo l’ex calciatore ormai scrittore ( Le mie stelle ne
re e Per l’uguaglianza sono pubblicati in italia da Add Editore) si è associato al Museo nazionale «Eugène Delacroix» per realizzare l’esposizione Immaginari e rap
presentazioni dell’Oriente. Questioni di sguardi, e si è prestato ad accompagnare i ragazzini in un viaggio attraverso l’Oriente, o meglio l’immagine che noi occidentali ci siamo costruiti di quel mondo attraverso i secoli. Delacroix è il pittore romantico che nel 1830 dipinse
La libertà che guida il popolo, un quadro diventato nei decenni l’icona stessa della République, ispirato alle «tre gloriose» giornate di sollevazione dei parigini contro Carlo X, momento di rivendicazione democratica e egualitaria contro la restaurazione conservatrice postnapoleonica. L’ultima dimora e l’ultimo atelier dell’artista prima della morte nel 1863 furono qui, nei locali oggi occupati dal museo, al numero 6 di rue Furstenberg, nota anche come la via più costosa di Parigi.
Venire ad abitare in questa minuscola e incantevole piazzetta è pressoché impossibile perché le proprietà in vendita sono rarissime, e comunque il prezzo al metro quadro si aggira intorno ai 20 mila euro, circa 8 mila in più rispetto alla media del quartiere che è comunque uno dei più cari di Parigi. A Sarcelles invece una casa costa 2.700 euro al metro quadro. Indugiare sul denaro è spiacevole, eppure in questa gigantesca disparità risiede parte dell’interesse della visita.
Davanti allo Studio di elmo circasso Thuram parla dei codici di abbigliamento, del gusto occidentale per il travestimento più o meno consapevole. «Che cosa vi ha colpito del modo di vestire degli abitanti di questo quartiere, oggi?», chiede Thuram. «Sembrano un po’ rigidi, imprigionati. Noi — risponde una ragazza — siamo più disinvolti perché non facciamo granché caso a come ci vestiamo». «Bugiarda!», la interrompe Thuram. «Sono sicuro che prima di uscire di casa hai pensato con precisione a che jeans metterti, quali scarpe da tennis abbinare, con quale giubbotto. Non ce ne accorgiamo neppure ma ci vestiamo come l’ambiente ci suggerisce. Se voi viveste qui, dopo due o tre anni magari scegliereste lo stesso abbigliamento».
Saint-Germain-des-Près, e ancora di più il suo gioiello rue Furstenberg, rappresentano la Francia dei parigini colti e benestanti, mai sfiorati veramente dalle crisi economiche, identitarie, sociali che negli ultimi anni hanno percorso il Paese. Sarcelles invece è il cuore della frattura sociale francese e non solo, una cittadina che un tempo veniva chiamata «la piccola Gerusalemme», un ex modello di convivenza che ha importato suo malgrado i conflitti mediorientali. La forte comunità ebraica sta abbandonando Sarcelles perché stanca dei contrasti con l’altrettanto numeroso gruppo musulmano, pochi giorni fa un bambino di 8 anni è stato aggredito per strada perché portava la kippah e il presidente Emmanuel Macron è intervenuto per condannare l’episodio.
Rue Furstenberg e Sarcelles sono pianeti di due universi differenti, che Thuram ha voluto far scontrare. Qualche minuto prima dell’inizio della visita, il campione ha parlato con i ragazzini nella piazzetta. Li ha messi in cerchio e li ha abbracciati, come prima di una partita. Qualcuno gli parlava fitto, qualcun altro armeggiava con i registratori digitali perché la giornata fa parte di un progetto sul giornalismo e con l’aiuto della professoressa verrà realizzato un reportage per la radio.
«Mi sento fuori posto», ha avuto il coraggio di dire subito uno studente, con il sollievo di tutti. L’elefante nella stanza è stato chiaramente indicato, e quello sarà il tema dominante del pomeriggio. «Questa casa — risponde Thuram — appartiene a voi come a qualsiasi altro visitatore. Quando ero giovane mi sentivo esattamente come voi, non andavo spesso nei musei, mi sembrava di venire da un altro mondo e non capivo un granché di quel che vedevo. Ma non dovete essere prigionieri del ruolo che qualcuno vi ha assegnato o nel quale ingabbiate voi stessi. Cercate di approfittare di qualsiasi occasione, siate voi a decidere chi volete essere».
Thuram ha creato una fondazione per lottare contro i pregiudizi e si diverte a scardinare le convinzioni radicate dei ragazzi. Nella prima sala incontriamo Le donne di Algeri e Thuram chiede: «Che cosa ne pensate? Come sono raffigurate queste donne del Nordafrica, nell’Ottocento? Sembrano più libere delle occidentali, Delacroix è attratto dal mito dell’odalisca, della donna sensuale orientale. Al tempo in Europa le donne portavano i corsetti che stringevano e imprigionavano i corpi, non potevano neppure sedersi. È interessante notare il contrasto con l’immagine che abbiamo del mondo musulmano oggi. E comunque, non ricordano un po’ certe foto-