Corriere della Sera - La Lettura
Senza geografia i romanzi non riescono a vivere
Basta fare un rapido inventario delle definizioni che si danno, qua e là, del romanzo per accorgersi che concordano nel privilegiare le situazioni, le avventure, i costumi o i caratteri. Quasi che il romanzo si definisca anzitutto a partire da come si articolano i personaggi o si strutturano gli intrecci — intrecci che presuppongono in primo luogo dei personaggi.
Sorprende che in tutte queste definizioni manchi la dimensione dello spazio, il riferimento ai luoghi. Eppure mi sembra che nel romanzo i luoghi siano non meno importanti dei personaggi, e siano comunque, a pieno titolo, personaggi. Non mi ha mai convinto l’idea che i personaggi possano sfuggire al loro creatore. Sono invece convinto che i luoghi abbiano una funzione decisiva sul piano narrativo.
Penso, per limitarmi a un solo esempio, al vero e proprio lavoro di ricognizione geografica che Flaubert compie per alcuni dei suoi romanzi. Un lavoro per lui essenziale, si direbbe, quanto la documentazione storica e la costruzione dei personaggi. Tutte le sue opere sono precedute da lunghe indagini bibliografiche destinate ad alimentare questo o quel progetto, ma anche da ricerche sul campo.
Illuminante, al riguardo, è la corrispondenza con Guy de Maupassant: è il 1877, sono i suoi ultimi anni di vita, e Flaubert, che sta lavorando a Bouvard e Pécuchet, manda il giovane Maupassant a indagare al posto suo. «Ho bisogno di una scogliera che faccia paura ai miei due amici», gli scrive. «L’ho cercata per tutto il pomeriggio nei dintorni di Le Havre. Ma non ci siamo. Mi serve del calcare a picco». Maupassant gli indirizza allora una lunga lettera estremamente dettagliata, che include numerosi disegni ed è la descrizione di una parte della costa normanna. E Flaubert per tutta risposta: «Le sue indicazioni sono perfette. Ho l’impressione di avere davanti agli occhi l’intera costa. Ma è troppo complicato». E precisa la sua ordinazione: «Mi serve: 1. una scogliera; 2. una curva di questa scogliera; 3. dietro la curva una valleuse il più possibile scoscesa; e 4. una seconda valleuse o un modo qualsiasi per risalire facilmente sul pianoro»; e conclude in tono impaziente: «Insomma, mio caro, ha capito quel che mi serve, mi dia una mano».
Lo scambio è eloquente, perché a quanto consta dai Carnets de travail Flau- bert è stato sul posto un mese prima e, come testimonia una scheda, ha già fatto un sopralluogo. D’altro canto, quei luoghi di cui tanto ha bisogno potrebbe in fondo inventarli: il capitolo in questione, oltretutto, dev’essere brevissimo. E invece no: gli occorre sempre e comunque una base reale e molto precisa (una valleuse, ad esempio, è una breve valle sospesa che si apre nella scogliera e sbocca sul mare), una base sulla quale sviluppare la narrazione. Senza questa realtà, senza questo concretissimo frammento di realtà, l’immaginazione non può procedere. Se si tiene conto di questi lunghi scambi, fondati sulla reale preoccupazione di Flaubert in rapporto alla costruzione della scena, sull’esigenza di un luogo reale dove situarla, non sarà inutile cercare l’esito di questo lavoro nel testo definitivo di Bouvard e Pécuchet. Ebbene, si riduce pressoché a nulla. Una quindicina di righe che avrebbero benissimo potuto scaturire da un poco impegnativo lavoro di immaginazione. Ma non si poteva saltare quella tappa.
Questo esempio, fra i molti altri possibili, è a mio avviso emblematico del ruolo e della forza della geografia nel romanzo.
( traduzione di Giorgio Pinotti)