Corriere della Sera - La Lettura
L’amore non ha età e la terza età ha il sesso
Quanta letteratura ha ispirato il desiderio erotico di un uomo anziano per una donna giovane. E quanti romanzi autobiografici hanno raccontato la seduzione molto più mentale che un uomo può esercitare su una donna assai più giovane di lui. Negli ultimi anni, poi, non sono mancati i libri sul sesso nella terza età, come quello di Jane Juska, l’insegnante americana che ha messo questo annuncio su una rivista per intellettuali: «Prima di compiere 67 anni vorrei fare molto sesso con un uomo di mio gradimento. Se vuole, prima possiamo parlare di Trollope». E sugli incontri che ne sono scaturiti ha scritto un bestseller ( A Round-Heeled Woman).
Eppure il sorprendente libro di racconti di Arlene Heyman Il buon vecchio sesso fa paura uscito per Einaudi nell’ottima traduzione di Anna Nadotti, rappresenta un caso a sé. Innanzitutto perché questi sette racconti, scritti nell’arco di trent’anni, sono il libro d’esordio di una signora di settantasei anni con una solida carriera di psichiatra a New York — una donna intelligente, perspicace e bella, che prima di iscriversi a medicina ha studiato letteratura con Bernard Malamud e ne è diventata la musa (oltre che l’amante). E poi perché le short story di Dirty Old Sex (titolo originale) sono così esplicite, così crude, così maledettamente sincere, da rompere il tabù del letto coniugale degli anziani ancora sessualmente attivi, in modo esilarante.
Certo, la libido dei personaggi di questa scrittrice ebrea nata a Newark che farebbe arrossire persino il David Kepesh di Philip Roth, è ancora relativamente vivace: parliamo di persone al secondo, terzo o quarto matrimonio. In altre parole la consuetudine c’è ma gli anni di convivenza che pesano sul materasso sono dieci o quindici, non quaranta. E tuttavia per ognuno di loro, ormai, «fare l’amore era come combattere una guerra: bisognava fare dei piani, equipaggiarsi alla perfezione, schierare e coordinare meticolosamente le truppe, non c’era spazio per l’improvvisazione o si correva il rischio che il paese venisse sconfitto e ci si ritrovasse ai ferri corti...».
A sessantacinque anni Marianne, la protagonista del racconto Gli amori della sua vita, è alta, sottile, elegante, e ha un casco di capelli bianchi che s’intona così bene ai suoi occhi azzurri che di tanto in tanto le chiedono di fare la modella per Eileen Fisher. Ma quando torna nel suo appartamento dell’Upper West Side e sente il suo (secondo) marito — scarruffato e ancora in pigiama davanti al computer — gridarle «Ti andrebbe di fare l’amore?», con lo stesso trasporto con cui potrebbe proporle una partita a tennis, il suo pensiero va più che altro alle questioni organizzative: il Viagra per lui che va combinato con un antidepressivo per ritardare il rischio di eiaculazione precoce; il Vagifem e un certo gel lubrificante per lei, meglio di tipo denso perché il marito ha «il pene più piccolo che avesse mai visto»; e infine un occhio alle tende perché «dopo i quaranta nessuno dovrebbe fare l’amore di giorno». E se qualcuno mai ne dubitasse, deve solo provare a leggere le osservazioni di Marianne sulla pelle «flaccida» sul petto del marito, e le «borse cascanti sotto i capezzoli». O le critiche che riserva a se stessa, lamentando «culo e cosce ossuti», mentre «seni e girovita non erano male, forse perfino discreti, se s’ignorava la bramosia che i seni sembravano avere sviluppato per il girovita».
I personaggi di Il buon vecchio sesso fa
paura sono medici, biologi, accademici, artisti, quasi sempre ebrei. E forse perché in ogni coppia c’è almeno uno scienziato — di solito la donna — non hanno problemi a parlare di clisteri e sesso anale, o ventilatori contro l’apnea notturna che a letto hanno lo stesso sex appeal di maschere antigas. «La pelle anziana è talmente fertile che alimenta ogni tipo di escrescenze», osserva la microbiologa di
Nulla di umano: «Papule, papillomi, fibromi penduli…». L’amore che li aiuta a prendersi cura l’uno dell’altra «è diventato un po’ come spazzolarsi i capelli e usare il filo interdentale, quasi una cosa igienica, che fa bene». Ma è anche vero che la passione può ancora arrivare a sorpresa.
Non tutti i racconti di questa raccolta sono alla stessa altezza. Talvolta il ritmo si perde, e certe storie assai riuscite «a livello inguinale» mancano di tenuta narrativa quando l’attenzione si sposta su altri piani.
Uno dei racconti migliori è quello dedicato a Bernard Malamud, L’amore con
Murray, dove la parte del vecchio innamorato tocca a un famoso artista newyorkese che in verità ha solo quasi cinquant’anni ed è sposato. Sono gli anni Sessanta e Leda, una studentessa diciannovenne in minigonna e camicetta senza reggiseno, riconoscendolo a una mostra al Whitney Museum, lo abborda davanti a un quadro. «Che gliene pare?», gli chiede. A lei quell’artista non piace, dice spavalda. E quando lui, lusingato dal fatto di essere stato riconosciuto da una così bella ragazza, le chiede gentilmente di fargli vedere cosa trova bello in quel museo, «con un’improvvisa ispirazione, Leda si sollevò la camicetta fin sopra il viso».
La loro storia d’amore durerà tre anni: emozionante, erotica, intensa, e destinata a finire quando Murray scoprirà che Leda ha avuto un’avventura con un ragazzo della sua età.
Le biografie ci dicono che Malamud ha reso onore alla sua «Leda» nel personaggio della vivace e disinibita Fanny di Le vi
te di Dubin. E la letteratura ci ricorda che Philip Roth ha reinventato entrambi nello
Scrittore fantasma, calandoli nei panni di E.I. Lonoff e della sua giovane amante Amy Bellette (la quale ritorna poi in Exit Ghost).
Ma è ad Arlene Heyman che spetta l’ultima parola che non si nega a nessuna musa. La troviamo nei ringraziamenti in coda al suo libro, ed è toccante. «Bernard Malamud è stato l’aria che si respira, le sue battute, il suo ateismo ebraico, la sua vitalità, la sua amorevole gentilezza, la sua passione per l’arte e per me, la sua assoluta immersione nella letteratura e, soprattutto, la sua scrittura».