Corriere della Sera - La Lettura
Gli dei e le fate sono qui tra noi in un hellzapoppin’ d’epoca Qing
Ci sono tanti spettri, ne I racconti fantastici dello studio di Liao, e tante case che di spettri sono piene. Ma il paradosso, per le storie messe insieme da P’u Sung-ling nella Cina d’epoca Qing, è non aver trovato lei stessa una casa: opera inclassificabile, troppo originale perché potesse essere accolta nel «Catalogo della biblioteca imperiale». E, se il criterio doveva essere la netta fedeltà a un canone, le perplessità della corte erano fondate: nelle 435 storie si agitano dei, fate, spiriti, mandarini, concubine, sant’uomini, una varia umanità capace delle più varie forme di lussuria e di crudeltà, vicende d’amore e morte, apologhi divertenti e parabole edificanti. Fuori dalle regole ma con un’anima, anzi molte: si ride, si piange e ci si spaventa, in lieta mescolanza di generi, letterari e anche sessuali. Un hellzapoppin’ cinese. Popolare e imitato, il libro(ne) è persino filtrato per frammenti in Occidente in tempo per solleticare Kafka. Castelvecchi ripropone la fatica di P’u (1640-1715, Pu Sungling la grafia d’oggi) tradotta da Ludovico Nicola di Giura (1868-1947), medico la cui vita non fu meno avventurosa di tanti fra I racconti. Che possono essere degustati pescando qua e là: vivi e morti, fantastico e realismo, stravaganza e quotidiano non sono mondi che s’incontrano ma elementi dello stesso universo, senza confini.