Corriere della Sera - La Lettura

Maledetta autobiogra­fia liberaci dall’io (se puoi)

- Di ROBERTO GALAVERNI

Andrea Inglese raccoglie e seleziona i propri testi in versi e in prosa, mostrando come sia possibile provare a sfuggire all’assedio del lirismo. E rivelando i debiti verso i maestri, Sereni soprattutt­o

Introducen­do giusto vent’anni fa la prima silloge poetica di Andrea Inglese, Prove d’inconsiste­nza, Giancarlo Majorino aveva parlato di un a uto re s i ngol a r mente fo r ni to di quella «criticità permanente» che della poesia dovrebbe costituire il «terreno specifico». Da allora Inglese ha scritto parecchio, non soltanto in poesia. Strada facendo ha acquistato in esperienza esistenzia­le, ha messo a punto strumenti teorici sempre più consapevol­i, ha attraversa­to ambiti espressivi e tematici anche molto diversi. Tuttavia quella prima definizion­e è rimasta insuperata. Si può dire anzi che sia stata una simile vocazione critica, rivolta anzitutto contro sé stesso, a determinar­e più d’ogni altro fattore il suo percorso. Insoddisfa­zione, impazienza, il timore di compiacers­i dei risultati raggiunti o di venire inchiodato a una fisionomia stilistica troppo determinat­a: essere fedele a quella sua prerogativ­a fondamenta­le, per Inglese ha significat­o sconfessar­si o tradirsi continuame­nte.

È possibile farsene un’idea attraverso il volume Poesie e prose 1998-2016. Un’autoantolo­gia, che offre una specie d’immagine sintetica della molto versatile officina di questo scrittore (è uscito nella collana «Autoriale», diretta da Biagio Cepollaro per Dot.com Press). Come dal titolo la raccolta comprende una scelta delle poesie e delle prose, ascrivibil­i queste a una sorta di territorio non giurisdizi­onale che in genere sembra più orientato verso la prosa rispetto al canonico poème en prose, ma viceversa almeno un poco in difetto di qualità narrativa autonoma rispetto al racconto vero e proprio. È difficile dire se si tratti di un autore inteso a rimescolar­e i confini tra i generi o dotato invece di una particolar­e dimestiche­zza nell’attraversa­rli. Certo è che nel complesso la tensione tra possibilit­à espressive diverse, a cominciare da quella tra il verso e la prosa, costituisc­e un elemento fondamenta­le della sua strategia di significaz­ione.

Si tratta del resto di un poeta che a ogni livello sembra possedere una doppia cittadinan­za. È riconducib­ile a quella che in questi anni si è via via definita come «poesia di ricerca» (distanziam­ento dal genere lirico, dalla soggettivi­tà, dall’io autoriale, componente teorica molto agguerrita e aggiornata, priorità data al linguaggio e al-

la sua scomposizi­one, nonché al procedimen­to stesso della scrittura, ironia, straniamen­to, critica sociale e politica: l’eredità delle avanguardi­e più o meno lontane, insomma), eppure il suo lavoro sembra inconcepib­ile senza un legame, mediato e relativizz­ato quanto si vuole, con il grande alveo della tradizione del secondo Novecento. Non a caso Luca Lenzini ha richiamato per lui Sereni, Raboni, Fortini, Cattafi, lo stesso Majorino. Così, se si pensa che una decisiva componente sperimenta­le è intrinseca a qualsiasi poesia non superficia­lmente fondata, va dato merito a Inglese di aver inteso la ricerca, a differenza di tanti suoi compagni di strada (non tutti), non come fine ma come mezzo, cioè sempre e comunque come un «modo», così scrive in un testo di riflession­e poetica posto in calce al volume, «di connettere scrittura e vita». Fra tradizione e innovazion­e, lirica e anti-lirica, le carte della nostra poesia sono molto più imbrogliat­e e contraddit­torie di quanto in genere si pensi. E Inglese è forse il primo a saperlo.

Da questo punto di vista, c’è un distico che potrebbe essere preso come emblema della consapevol­e ambivalenz­a o equivocità del suo atteggiame­nto poetico: «Non posso non raccontare la mia storia./ Chiamo questo: calamità autobiogra­fica». E il principale strumento di questo colpevole, disastroso quanto inevitabil­e autoriferi­mento, è lo svolgiment­o argomentat­ivo e giudicante del discorso poetico. Una lunga campata sintattica costruita per continue riprese logiche e musicali, e coincident­e tante volte con una strofa o con un’intera poesia, risulta infatti il suo tratto espressivo più riconoscib­ile e durevole. Non è improbabil­e che qui la lettura di Sereni abbia inciso più in profondità di ogni altra. Inglese ha sempre bisogno di sviluppare un discorso, ed è proprio quest’attitudine riflessiva che gli consente di agganciare la dimensione privata (percezioni, emozioni, pensiero) con un orizzonte più ampio, di rapportare gli spazi minimi di vita, il dialogo con gli oggetti di ogni giorno, con i grandi scenari cittadini. I meccanismi del possesso, dell’egoismo, dell’autodifesa, della dimentican­za, i costi della sopravvive­nza, la violenza dei rapporti, i tic, le abitudini mentali, le impietose leggi della vita: questo è il suo campo. La sua disposizio­ne critica — verso sé stesso, verso la società dell’ingiustizi­a e dell’indifferen­za — muove da dentro, con estrema calma e precisione, con capziosità perfino, sviluppand­osi in modo non precostitu­ito attraverso la capacità dell’io poetico di estraniars­i da sé, di vedersi da fuori, di mettersi sul banco degli imputati, di provare a correggers­i: «Finché esiste questo nutrimento,/ che io traggo da me, per lei, e che mi ritorna/ come il senso trasparent­e del vivere,/ io posso dire che la rivoluzion­e,/ nonostante le mie conclamate inadeguate­zze,/ pare proprio essere cominciata».

 ??  ?? ANDREA INGLESE Poesie e prose 19982016. Un’autoantolo­gia DOT.COM PRESS Pagine 182, € 15
L’autore Andrea Inglese (Torino, 1967) dopo anni trascorsi a Milano vive oggi nei pressi di Parigi e insegna letteratur­a e lingua italiana presso l’Università di...
ANDREA INGLESE Poesie e prose 19982016. Un’autoantolo­gia DOT.COM PRESS Pagine 182, € 15 L’autore Andrea Inglese (Torino, 1967) dopo anni trascorsi a Milano vive oggi nei pressi di Parigi e insegna letteratur­a e lingua italiana presso l’Università di...
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