Corriere della Sera - La Lettura

Il canto irlandese della lingua di torba

Brendan Kennelly mescola i registri e le forme, e affiora l’eco del gaelico

- Di DANIELE PICCINI

In principio era Yeats, la sua Irlanda leggendari­a, rocce e presenze che formano il luogo degli eventi. Poi venne Patrick Kavanagh, il poeta della terra e del sospiro, colui che della grana delle cose fa la sostanza stessa del canto: «È la vita la verità di Dio», come dice in una sua poesia. Brendan Kennelly, nato nel sud dell’Irlanda, nella contea del Kerry, nel 1936 («poiché io provengo dal Kerry, dalla sua argilla e roccia»), vive dentro questa tradizione, la respira. E non solo se ne impossessa da poeta, ma la approfondi­sce e frequenta da studioso, essendo stato per tanti anni professore di Letteratur­a inglese al Trinity College di Dublino.

Dice ancora Kavanagh alla fine di una sua poesia: «Oh, limitiamoc­i a osservare dalla nostra panca». In effetti è la realtà delle cose udite e viste che nutre il verso di Kennelly. Eppure, si badi, non c’è solo percezione, ma discesa nel profondo, verticalit­à e senso della vertigine nella poesia di questo irlandese, che una antologia italiana presenta nei suoi esiti complessi e stratifica­ti (Brendan Kennelly, The Essential, a cura di Giuliana Bendelli, con scritti tra gli altri di Toma- so Kemeny e Michael D. Higgins, Jaca Book).

Come la torba conserva corpi e cose e li restituisc­e, così la memoria rende al verso il guizzo dell’aneddoto, della piccola storia che risorge e torna a cercare il suo ritmo e il suo respiro nella parola. Attraverso un lungo arco di anni l’odore e il sapore di un incontro, di una vicenda si ricreano nell’atto di comporre: «I nomi dei morti sono lampi». Lo stesso discorso si potrebbe fare per la lingua che il poeta usa. Si dice in un testo: «Avevo una mia lingua un tempo./ Mi ci ritrovavo./ Qualcuno l’uccise,/ la seppellì da qualche parte». E più oltre: «A volte le parole perdute guizzano dalla tomba». Il gaelico irlandese che soggiace all’inglese di Kennelly — un inglese che svaria dal gergale a registri più elevati, che viene usato in forme chiuse e in testi ampi e senza vincoli di rima — è come una presenza che riemerge.

Questa poesia è in effetti tutta composta di echi, di ripercussi­oni, di tracce e di nuovi inizi. Ciò che è stato deve nascere ancora, ciò che avviene deve sempre iniziare: «Nascerò in quell’ora di grazia./ Inizierò a vivere». La storia, anche quella cruenta, come la guerra por- tata da Cromwell in Irlanda, come il sanguinare continuo di questa terra, ritorna presente, vuole avere una voce. E la poesia, che è un dono, accoglie tutto: il basso e il sapienzial­e, il sacro e lo scurrile.

Lo rileva un lettore d’eccezione quale Bono degli U2, in un breve saggio riproposto nel libro italiano, dove parla di una poesia «talvolta ferina e talaltra angelica». Il vocabolari­o di questo poeta arriva fino all’esplicito e al plebeo e li fa magari collidere con le strutture metriche tradiziona­li, producendo sorpresa, attenzione, stato di allerta. È una poesia che crede in un mondo su cui veglia, continuame­nte, «un Dio insonne».

 ??  ?? BRENDAN KENNELLY The Essential A cura di Giuliana Bendelli, traduzioni di Giuliana Bendelli, Rosangela Barone, Melita Cataldi e Francesca Romana Paci Con testo a fronte JACA BOOK Pagine 288, € 18
BRENDAN KENNELLY The Essential A cura di Giuliana Bendelli, traduzioni di Giuliana Bendelli, Rosangela Barone, Melita Cataldi e Francesca Romana Paci Con testo a fronte JACA BOOK Pagine 288, € 18

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