Corriere della Sera - La Lettura
Uno, nessuno e sessanta Il catalogo dell’individuo
Racconti L’«Atlante» di Danilo Soscia è una costruzione barocca di storie-mondo: l’autore si muove ai confini del manierismo ma lo evita grazie a uno stile sorvegliato e alla coerenza del progetto
Sono molte le porte da cui si può entrare in questa raccolta di Danilo Soscia, esperto di letteratura di viaggio, studioso dei rapporti culturali tra l’Italia e l’Estremo Oriente, autore di racconti su varie riviste online e di un esordio narrativo, Condomino (Manni, 2008), che rimandava alla letteratura potenziale e in particolare a La vita istruzioni per l’uso di Perec. Lì l’autore già rivelava una certa attitudine per le architetture complesse e simboliche in 36 storie, allocate in una palazzina, divise per piani e interni; 36 possibili case dell’io, non comunicanti tra loro, perciò autonome anche se parte di uno stesso organismo. Qui sono 60 micro-racconti, divisibili in 12 «temi notevoli», che si estendono sia dal punto di vista geografico che storico. Parabole a volte enigmatiche, racconti visionari capaci di ribaltare le sorti di uomini illustri, false memorie di fantasmi, fuggitivi, profeti.
Nell’Atlante delle meraviglie, denso di citazioni occulte e di vertiginosi rimandi letterari, Soscia segue il filo delle passioni umane riscrivendo i miti greci, le tragedie classiche, la Bibbia, le biografie dei grandi personaggi della storia e della letteratura, ma anche della cultura popolare (la Signora in giallo, per esempio, nel racconto Cabot Cove) insinuandosi in un dettaglio insignificante che diventa kairós.
È un catalogo dell’umano, barocco come l’idea di Wunderkammer a cui si ispira, che porta inevitabilmente con sé un sospetto di manierismo. Lo argina uno stile sorvegliato e la coerenza del progetto generale, capace di riportare a una visione unitaria la frammentarietà del mondo — dei mondi — e dell’Io. È un libro fatto di piccole ucronie, di immagini che si dilatano fino a diventare una storia, di particolari presi per la coda, contaminati e piegati a una nuova narrativa, dove i tempi non si succedono ma coesistono. Così, per esempio, il racconto Maiale prende alla lettera Innocenzo III che, prima di approvare la
Regola, avrebbe apostrofato Francesco d’Assisi invitandolo ad andare a rivoltarsi nel fango dei maiali. Eccolo, il Poverello, riscritto alla luce di Pier Paolo Pasolini, gettarsi a faccia in giù nel recinto, dove non verrà sbranato dai porci ma anzi li salverà dal loro destino di morte («Bisogna essere folli per essere chiari» ammonisce d’altronde PPP).
Nel manicomio di Charenton il marchese de Sade si affeziona a Bashaar («credetti a lungo che con il tempo quel ragazzo avrebbe corrotto il mio ateismo»), inserviente siriano attratto dal licantropo che lo sbranerà. Arthur Rimbaud scrive dal Cairo alla madre: «Ti prego di non dare credito a quanti verranno a riferirti che sono diventato un mercante di uomini»; a Itaca il più bello tra i Proci, Anfinomo, viene messo in guardia da Penelope sul ritorno di Ulisse e chiede lumi all’aruspice riguardo al suo destino. A Pigalle Walter Benjamin, piegato dalla dissenteria e dall’artrosi, si fa leggere le carte da una vecchia calva e compra un grammo di morfina prima che i tedeschi entrino a Parigi, mentre sul Calvario il buon ladrone Disma chiude sulla croce la sua vita parallela e contraria a quella di Gesù.
Ricordi, pensieri, riflessioni costruiscono una trama spessa che sottende a tutti i racconti. Ci sono molti non detti, omissioni, enigmi. Non sempre è la prima persona a dare forma al racconto, ma il punto di vista è comunque interno. Soscia ingrandisce al microscopio un dettaglio quotidiano dei suoi personaggi facendo passare da quella lente il loro destino e chiamando il lettore a condividerlo.
Da Oriente al cuore della vecchia Europa, sono mondi in viaggio. Viaggiano gli uomini e viaggiano gli animali, magari in navicella, come Tsygan, prima cagnetta cosmonauta della storia, nel 1951: «Rinchiusi nell’abitacolo al buio, pilotati dai nostri padroni nel corpo e nel cuore, misuravamo a spanne il distacco dalle cose terrestri». Su di loro — cani, scimmie, maiali, panda — spesso reificati per il piacere o i bisogni degli uomini, Soscia posa uno sguardo empatico, attribuendo loro pensiero e, a volte, parola. Alcuni sono, loro malgrado, star internazionali, come Winner, l’orso polare morto nello zoo di Buenos Aires, ucciso dal ca l do a r gent i no e dai bot t i di Natal e , omaggiato dalla falsa coscienza umana con un funerale degno di un capo di Stato. O come Bao Bao, il panda dello zoo di Berlino, vittima della diplomazia(era stato regalato dal governo cinese al cancelliere Helmut Schmidt) protagonista del primo potente racconto: prima di morire ed essere seppellito sotto la sua gabbia, racconta i rimpianti delle cose mai conosciute, le lingue imparate inutilmente domandandosi quando la vita sarebbe iniziata.